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TARI: illegittima l’applicazione dei coefficienti massimi della tariffa senza adeguata motivazione

Il TAR Lazio ha ritenuto illegittima, per carenza di motivazione, l’applicazione dei coefficienti massimi previsti dal metodo normalizzato per le tariffe TARI della categoria degli studi professionali, annullando, con la sentenza n. 5788/2020, le delibere di approvazione delle tariffe per gli anni 2017, 2018 e 2019.

Il ricorso, proposto dal Comitato Unitario dei Professionisti e degli Ordini Professionali, si fonda “sull’illegittimità del sistema adottato dalle impugnate delibere consiliari di determinazione della tariffa, in quanto basato, in contrasto anche con il diritto dell’Unione, su un meccanismo presuntivo (cd. metodo normalizzato) che non terrebbe conto della proporzione tra quantità di rifiuti prodotti ed il corrispettivo da versare per lo svolgimento del servizio, e ciò in palese violazione del principio secondo il quale “chi inquina paga”” e “sull’omessa specificazione e, dunque, la radicale carenza di motivazione, delle ragioni per le quali sono stati fissati, per la categoria n. 11 delle utenze non domestiche (agenzie, studi professionali), coefficienti in misura massima consentita dall’allegato I al d.P.R. 158 del 1999”.

I giudici hanno ritenuto infondato il primo motivo, affermando che: Il sistema presuntivo (ovvero il metodo normalizzato), recepito con il regolamento comunale TARI e con l’approvazione delle tariffe per le annualità in contestazione, non si discosta dal principio comunitario “chi inquina paga” […] in quanto postula un meccanismo di proporzionalità: i criteri di calcolo sono, infatti, riferiti alla potenzialità della produzione annua di rifiuti per ogni singola categoria economica. […]”, rilevando tuttavia un deficit motivazionale, non superato dalle specificazioni che l’amministrazione ha ritenuto di articolare rispetto alle precedenti ed analoghe determinazioni, della scelta di assoggettare le utenze non domestiche, appartenenti alla categoria 11, ad una imposizione, la più elevata possibile, che non risulta sostenuta da plausibili ed adeguate evidenze, le quali avrebbero dovuto essere frutto di una istruttoria adeguata sul piano metodologico e delle rilevazioni fattuali, in stretto ancoraggio ai criteri applicati nell’ambito dei valori minimi e massimi indicati nell’allegato al d.P.R. n. 158 del 1999 […]”.

Secondo il TAR infatti, il potere dell’ente locale di determinare le tariffe non può essere sottratto all’obbligo di motivazione, e soprattutto nell’ambito di un intervallo, delimitato da un minimo e da un massimo, l’ente avrebbe dovuto esaustivamente esplicitare le ragioni della scelta dei coefficienti massimi, con particolare riferimento tanto al procedimento logico giuridico seguito quanto alle modalità di rilevazione dei dati applicati.

In conclusione i giudici hanno altresì rilevato l’adozione di un criterio per la determinazione delle tariffe non omogeneo in rapporto alle categorie “banche ed istituti di credito” e “attività artigianali” ritenute assimilabili alla categoria oggetto di ricorso per le quali era stato fissato invece il coefficiente minimo: a tal proposito, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che provvedimenti relativi alle tariffe TARI devono essere caratterizzati da “una congruenza esterna”, nel senso che “devono essere idonei a rivelare la ragionevolezza del percorso logico seguito dall’amministrazione nel processo di individuazione dei coefficienti per le diverse aree del territorio” (Cons. St., Sez. V, 1 agosto 2015, n. 3781; Cons. St., Sez. V, 9 novembre 2011, n. 5908; Cons. St., Sez. V, 10 febbraio 2009, n. 750; Tar Lazio 8 novembre 2016, n. 11052).

Tale pronuncia è conforme a quanto stabilito dalle “Linee Guida per la redazione del Piano finanziario e per l’elaborazione delle tariffe” al paragrafo 15 nel quale si legge:

“La pluralità di possibili valori dei coefficienti Kb, Kc e Kd pone il problema di motivare la scelta compiuta, anche per impedire che, secondo una nota formula individuata dalla Corte Costituzionale, la discrezionalità amministrativa trasmodi in arbitrio. Al riguardo la giurisprudenza ha da tempo messo in luce l’insopprimibile esigenza di motivare le delibere tariffarie TARSU – che presentano più di un punto di contatto al riguardo – al fine di rendere palesi i criteri adottati per suddividere il carico fiscale sui soggetti passivi del tributo e le attività istruttorie compiute per individuare i costi del servizio e “le ragioni dei rapporti stabiliti tra le tariffe” con conseguente illegittimità di delibere tariffare prive di motivazione, o con motivazione insufficiente, oppure fondate su criteri irrazionali o non congruenti con le finalità della tassa o comunque affette da vizi di eccesso di potere o di illogicità”.

Le Linee Guida riportano altresì pronunce divergenti da tale orientamento, tra cui quella del TAR Toscana (n. 800/2007) nella quale si legge che i provvedimenti di fissazione delle tariffe, e quindi di individuazione dei coefficienti di produttività da applicare alle varie categorie di utenze nell’ambito dell’intervallo consentito dal D.P.R. n. 158 del 1999, devono considerarsi “atti di normazione secondaria a contenuto generale”, assimilabili agli atti relativi alla gestione dell’imposta comunale sugli immobili, per i quali non sussiste alcun obbligo di motivazione; pronuncia poi riformata in appello: il Consiglio di Stato infatti riconosceva l’ampia discrezionalità dell’ente nella fissazione dei coefficienti da applicare alle categorie di utenza all’interno dei limiti fissati, tuttavia tale discrezionalità amministrativa non può sfuggire all’obbligo di motivazione se non al costo di rinnegare i principi fondamentali di legalità, imparzialità e buon andamento (Consiglio di Stato, sez. V, 2 febbraio 2012, n. 539).

Nel riportare impostazioni non sempre coincidenti, le Linee Guida traggono due principi secondo i quali l’ente gode di ampia discrezionalità nell’applicare i coefficienti e non può essere vincolato all’esito di apposite rilevazioni della produttività media ordinaria delle varie categorie di utenza site sul territorio; tuttavia va comunque evitato che il comune possa arbitrariamente e immotivatamente individuare valori massimi per talune categorie e minimi per altre, pur all’interno dei limiti individuati dal D.P.R. n. 158 del 1999, salvo che non sussistano attendibili e specifici motivi per una scelta diversa.

Infine, con riferimento al caso oggetto della sentenza in commento, si osserva che l’articolo 58-quinquies del D.L. n. 124/2019 ha modificato l’allegato I al DPR n. 158/1999, riconducendo, a decorrere dal 1° gennaio 2020, gli studi professionali nella categoria delle banche ed istituti di credito e riducendo di fatto la tassazione di tale fattispecie.

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