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Cassazione: sull’avviso di accertamento non è ammessa integrazione postuma della motivazione

Con l’ordinanza n. 21875 del 29 luglio 2025, la Corte di Cassazione in materia di tributi locali, con particolare riferimento alla TARI (Tassa sui Rifiuti), ha chiarito i limiti del potere motivazionale dell’Ente confermando il divieto di integrazione successiva all’emissione dell’avviso di accertamento.

Il nodo della controversia in questione era appunto la legittimità o meno di un avviso di accertamento privo di una motivazione completa in riferimento al rigetto di una riduzione TARI prevista dal regolamento e la possibilità per l’Amministrazione di sanare tale carenza in un momento successivo, ad esempio nel corso del contenzioso, mediante l’aggiunta di elementi non contenuti nell’atto originario. La riduzione nello specifico riguardava la parte fissa e la parte variabile, del 30%, riconosciuta ai concessionari degli stabilimenti balneari e dei locali ad essi funzionali, a condizione che si siano dotati dei seguenti servizi per l’utenza: portale internet con informazioni sia turistiche che sui servizi offerti dalla struttura, con traduzione in almeno quattro lingue straniere (inglese, francese, tedesco e spagnolo); wi-fi free per i clienti; prenotazione dei servizi offerti dalla struttura via internet e anche via email e sms; defibrillatore cardiaco»). La concessione della riduzione era pertanto subordinata alla sussistenza di plurimi requisiti espressamente previsti, il che non consentiva di ritenere che la motivazione fosse soddisfatta con il mero richiamo della norma.

Secondo la Corte “il Comune era dunque tenuto a motivare la pretesa tributaria esplicitando anche i motivi del diniego dell’agevolazione tariffaria ed illustrandone le ragioni, ovvero l’Ufficio era tenuto ad indicare in modo compiuto (e non mediante semplici clausole di stile) le ragioni per cui le richieste del contribuente non potessero essere accolte, pena l’illegittimità dell’atto stesso. Diversamente opinando, il contribuente non sarebbe, infatti, posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente l’an ed il quantum dell’imposta”.

La Suprema Corte ha ribadito un principio consolidato: l’integrazione postuma della motivazione dell’avviso di accertamento non è consentita, nemmeno a fini difensivi o interpretativi, qualora comporti l’introduzione di elementi essenziali non presenti nell’atto notificato in quanto l’obbligo di motivazione è “un requisito intrinseco dell’atto impositivo (cfr. Cass. n. 30039/2018)”.

Tale divieto è sancito dal legislatore:

– dall’art. 1, comma 162, della Legge n. 296/2006, che impone l’obbligo di motivazione degli atti impositivi in relazione ai presupposti di fatto e di diritto;

– dall’art. 7, comma 1-bis, dello Statuto del contribuente (Legge n. 212/2000), come modificato dal D.lgs. n. 219/2023, che vieta qualsiasi modifica, integrazione o sostituzione dei fatti e delle prove a fondamento dell’atto, salvo l’adozione di un nuovo provvedimento, nei limiti temporali previsti.

Tuttavia, in materia di TARI, la Cassazione riconosce che la motivazione dell’avviso può ritenersi sufficiente quando esso richiami in modo puntuale la delibera comunale sulle tariffe, in presenza di variazioni della superficie imponibile, della tariffa o della categoria di utenza. In tali casi, l’atto è legittimo se consente al contribuente di comprendere chiaramente le ragioni della pretesa tributaria e di esercitare efficacemente il proprio diritto di difesa.

Con questa pronuncia, la Cassazione consolida l’orientamento già espresso con l’ordinanza n. 26336/2024 in tema di accertamento IMU, dove si conferma che l’obbligo motivazionale e il divieto di integrazione successiva si applicano a tutti i tributi locali e si rafforzano i principi costituzionali di:

  • imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.);
  • giusto processo (art. 111 Cost.);
  • diritto di difesa del contribuente (art. 24 Cost.).
Tags: Accertamento, IMU, Motivazione, TARI, Tributi locali