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TARI dovuta su aree scoperte adibite a magazzino

Lo scorso 2 novembre con sentenza n. 31218, la Corte di Cassazione si è espressa relativamente all’assoggettamento alla TARI delle aree scoperte adibite al transito e al magazzinaggio dei container.

Nel caso di specie, il contribuente ricorreva contro gli avvisi di accertamento emessi dal Comune per le annualità dal 2014 al 2017; il ricorso era stato respinto in primo grado in quanto secondo la CTP “per magazzini tassabili a fini TARI potevano essere considerate anche le aree scoperte ove venivano conservati, movimentati e depositati all’aperto i container”.

I giudici di secondo grado invece, nell’accogliere il ricorso della Società contribuente, affermavano che “[…] l’esclusione dal tributo delle aree di transito e deposito dei container si desume dal tenore dell’art. 39 del regolamento IUC (imposta unica comunale) del comune di (omissis) in quanto non sono soggetti alla tassa le aree che, secondo la comune esperienza, non possono produrre rifiuti o non li possono produrre in maniera apprezzabile”.

Il Comune proponeva quindi ricorso in Cassazione, affidando lo stesso a due motivi di impugnazione:

I. la violazione dell’art. 1 comma 641 della Legge 147/2013: dal momento che l’attività della società contribuente consiste nel noleggio e deposito di container, è evidente che gli spazi scoperti dove tali attività vengono svolte – con movimento e magazzinaggio dei container – non possono che essere aree operative da tassare come produttive di rifiuti; si ricorda infatti che il comma 641 disciplina il presupposto impositivo del tributo stabilendo quanto segue:

“Il presupposto della TARI è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla TARI le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, non operative, e le aree comuni condominiali di cui all’articolo 1117 del codice civile che non siano detenute o occupate in via esclusiva”.

II. la violazione dell’art. 39 del regolamento comunale: sebbene l’art. 39 del regolamento comunale indichi la necessità di presentare una denuncia iniziale o di variazione delle aree escluse dall’imposta per inidoneità a produrre rifiuti, nessuna denuncia iniziale o di variazione era stata mai presentata dalla società contribuente.

La Cassazione accoglieva il ricorso sostenendo che: “Il presupposto impositivo della TARI è costituito dalla detenzione o occupazione di una “res” suscettibile di produrre rifiuti (Cass. n. 17617 del 2021); in materia di TARI, costituiscono presupposto impositivo l’occupazione o la conduzione di locali ed aree scoperte, adibiti a qualsiasi uso privato, non costituenti accessorio o pertinenza degli stessi, di talché è onere del contribuente dimostrare la sussistenza delle condizioni per beneficiare della riduzione della superficie tassabile ovvero dell’esenzione, trattandosi di eccezione rispetto alla regola generale del pagamento dell’imposta sui rifiuti urbani nelle zone del territorio comunale”.

Secondo i giudici, la CTR non si è conformata a detti principi in quanto non ha considerato che l’impossibilità di produrre rifiuti in misura apprezzabile non può essere ritenuta in modo presunto dal giudice tributario, essendo onere del contribuente indicare nella denuncia originaria o di variazione le obiettive condizioni di inutilizzabilità: “nei fatti invece la Commissione Tributaria Regionale ha esonerato la parte contribuente dal provare che un’area scoperta adibita al deposito e al transito di container sia inidonea a produrre rifiuti. In effetti il principio generale in tema di imposta sui rifiuti è che tutti gli immobili sono potenzialmente suscettibili di produrre rifiuti e quindi soggetti ad imposta sugli stessi, salvo una adeguata dimostrazione in senso contrario fornita dal contribuente mediante una apposita denuncia iniziale o di variazione”.