Le progressioni verticali “in deroga” ben possono limitarsi a valorizzare le attività che hanno attinenza con le mansioni che si andranno a svolgere nei Settori e/o Servizi presso i quali è stata presentata la domanda.
È quanto affermato dal T.A.R. di Parma con la sentenza n. 27 del 27 gennaio 2025.
Infatti, l’art. 52 (“Disciplina delle mansioni”), comma 1-bis, del D.Lgs. n. 165/2001, stabilendo che “I dipendenti pubblici, con esclusione dei dirigenti e del personale docente della scuola, delle accademie, dei conservatori e degli istituti assimilati, sono inquadrati in almeno tre distinte aree funzionali. La contrattazione collettiva individua un’ulteriore area per l’inquadramento del personale di elevata qualificazione. Le progressioni all’interno della stessa area avvengono, con modalità stabilite dalla contrattazione collettiva, in funzione delle capacità culturali e professionali e dell’esperienza maturata e secondo principi di selettività, in funzione della qualità dell’attività svolta e dei risultati conseguiti, attraverso l’attribuzione di fasce di merito. Fatta salva una riserva di almeno il 50 per cento delle posizioni disponibili destinata all’accesso dall’esterno, le progressioni fra le aree e, negli enti locali, anche fra qualifiche diverse, avvengono tramite procedura comparativa basata sulla valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni in servizio, sull’assenza di provvedimenti disciplinari, sul possesso di titoli o competenze professionali ovvero di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso all’area dall’esterno, nonché sul numero e sulla tipologia degli incarichi rivestiti. In sede di revisione degli ordinamenti professionali, i contratti collettivi nazionali di lavoro di comparto per il periodo 2019-2021 possono definire tabelle di corrispondenza tra vecchi e nuovi inquadramenti, ad esclusione dell’area di cui al secondo periodo, sulla base di requisiti di esperienza e professionalità maturate ed effettivamente utilizzate dalle amministrazioni per almeno cinque anni, anche in deroga al possesso del titolo di studio richiesto per l’accesso all’area dall’esterno. All’attuazione del presente comma si provvede nei limiti delle risorse destinate ad assunzioni di personale a tempo indeterminato disponibili a legislazione vigente”, inequivocabilmente sancisce il principio generale della necessaria valorizzazione della “attinenza” dell’esperienza e della professionalità in concreto maturate ed effettivamente utilizzate dalle Amministrazioni.
Inoltre, le progressioni verticali, che riguardano personale già dipendente dell’Amministrazione, hanno la caratteristica di valorizzare la professionalità acquisita in rapporto di stretta funzionalità con il posto che si intende ricoprire, come chiarito anche dal parere espresso dal Dipartimento della Funzione Pubblica DFP-66005-P-06/10/2021 laddove, in particolare, si evidenzia che le Amministrazioni possono declinare “(…) in autonomia con propri atti i titoli e le competenze professionali (…) nonché i titoli di studio ulteriori rispetto a quelli validi per l’accesso all’area dall’esterno (…) ritenuti maggiormente utili – per l’attinenza con le posizioni da coprire previste dall’ordinamento professionale vigente al proprio interno (…)”.
Secondo i Giudici risulta perciò evidente la contraddizione che si verificherebbe rispetto alla natura ed alla finalità della “progressione” se si consentisse di valutare titoli di studio non attinenti alla qualifica ambita, con l’effetto di ammettere alla posizione contrattuale superiore coloro che vantano un titolo di studio privo di nesso con i nuovi compiti, sopravanzando candidati che hanno titoli (ad esempio di livello inferiore come una laurea triennale) funzionali, invece, allo svolgimento delle mansioni proprie della posizione professionale oggetto della procedura di avanzamento; tale conseguenza sarebbe, in sostanza, palesemente contraria alla ratio dell’art. 52, comma 1-bis, D.Lgs. n. 165/2001, nonché dell’art. 13 e dell’art. 15 del C.C.N.L. Funzioni locali del 16 novembre 2022.