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Lavoro agile: non consentita la geolocalizzazione dei dipendenti

Con provvedimento del 13 marzo 2025, il Garante per la protezione dei dati personali ha affermato che il datore di lavoro non può mai geolocalizzare i dipendenti in smart working, nemmeno in presenza di un accordo in tal senso con le rappresentanze sindacali e del consenso informato degli interessati.

Nel caso specifico il datore di lavoro rilevava la posizione geografica dei propri dipendenti durante l’attività lavorativa svolta in modalità agile, in modo da verificare la corrispondenza tra la posizione geografica in cui si trovavano e l’indirizzo dichiarato nell’accordo individuale di smart working.

Ma l’esigenza di assicurare che la prestazione lavorativa dei dipendenti in modalità agile venga effettivamente resa presso le sedi indicate nell’accordo di riferimento non può evidentemente giustificare ogni forma di interferenza nella vita privata – come avvenuto nel caso di specie, raccogliendo e trattando l’informazione relativa alla specifica località in cui temporaneamente l’interessata si trovava – dando essa luogo a trattamenti di dati personali che ricadono nell’ambito di applicazione dell’art. 113 del Codice, in violazione degli artt. 5, par. 1, lett. a), 6 e 88 del Regolamento e 113 del Codice (con riguardo ai rischi per gli interessati e alle responsabilità per il titolare in ordine all’acquisizione di informazioni afferenti alla sfera privata dei dipendenti, v. provv. del 15 aprile 2021 n. 137 in corso di pubblicazione; ma v. pure, provv. del 26 marzo 2020, n. 64 – “Didattica a distanza: prime indicazioni” -, doc. web n. 9300784, par. 5 e, già, Linee guida su posta elettronica e internet, provv. 1° marzo 2007, n. 13, doc. web n. 1387522 in particolare, punto 5.2., lett. a), i cui principi possono ritenersi tutt’ora validi).

Si aggiunga, inoltre, che l’esigenza di assicurare anche nel caso del lavoro agile la riservatezza e la sicurezza dei dati trattati – pure invocata nel caso di specie dall’Azienda, che ha fatto riferimento, in particolare, al rischio di ambienti promiscui durante le telefonate di lavoro e all’accesso a reti wi-fi aperte – deve essere perseguita anzitutto impartendo specifiche istruzioni ai dipendenti autorizzati (artt. 4, par. 10, 29, 32 par. 4, del Regolamento; v. art. 2-quaterdecies del Codice), anche in considerazione delle misure tecniche e organizzative adottate in via generale per proteggere i dati, e non invece attraverso la geolocalizzazione del personale che presta la propria attività lavorativa in modalità agile.

Ciò anche alla luce del principio sancito dall’art. 115 del Codice, per cui anche nell’ambito del rapporto di lavoro agile il datore di lavoro è tenuto a garantire al lavoratore il rispetto della sua personalità e della sua libertà morale.
In ogni caso, il trattamento in questione, dando luogo ad una raccolta di dati non limitati né pertinenti rispetto alla finalità di gestione del rapporto di lavoro in modalità agile, si poneva altresì in contrasto con il principio di “minimizzazione dei dati”, in violazione dell’art. 5, par. 1, lett. c), del Regolamento.

Peraltro, la disciplina nazionale definisce il lavoro agile come una “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato” per cui la prestazione lavorativa si svolge, in relazione alla specificità delle mansioni svolte, “per fasi, cicli e obiettivi, senza precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro” (v. artt. da 18 a 23 della l. 22 maggio 2017, n. 81). In tale quadro, infatti, la prestazione lavorativa in modalità agile, differentemente dallo svolgimento dell’attività lavorativa presso la sede del datore di lavoro, risulta tipicamente caratterizzata da una flessibilità che, fatta salva l’eventuale operatività di fasce di reperibilità, attiene sia al luogo sia al tempo del relativo svolgimento (art. 18, comma 1, della l. 22 maggio 2017, n. 81).

Per quanto precede, dunque, eventuali verifiche sull’adempimento della prestazione lavorativa svolta in modalità agile possono consistere, ad esempio, nella redazione da parte del lavoratore di report periodici o documenti di sintesi in merito all’attività svolta oppure in momenti di confronto nei giorni di presenza in sede sugli obiettivi raggiunti in relazione a quelli assegnati (Direttiva del Ministero per la Pubblica istruzione del XX; ma, v. già le Linee guida contenenti regole inerenti all’organizzazione del lavoro finalizzate a promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, contenute nella Direttiva Pres. Cons. Ministri n. 3 del 2017), ma mai in controlli con strumenti tecnologici a distanza, che, riducendo lo spazio di libertà e dignità della persona in modo meccanico e anelastico, comportano un monitoraggio diretto dell’attività del lavoratore non consentito dall’ordinamento vigente e dal quadro costituzionale.

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