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Trasferimento della residenza del comodatario in casa di cura e riduzione della base imponibile IMU

L’art. 1 co. 747 L. 160/2019, confermando quanto già era stato previsto all’art. 13 D.L. 201/2011 a seguito della modifica intervenuta con la L. 208/2015, prevede la riduzione della base imponibile IMU per le unità immobiliari, fatta eccezione per quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, concesse in comodato dal soggetto passivo purché siano soddisfatti specifici requisiti:

  1. comodante e comodatario devono essere parenti in linea retta entro il 1° grado (genitore-figlio);
  2. l’abitazione oggetto del contratto di comodato deve essere usata come abitazione principale dal comodatario, il quale deve quindi avervi stabilito residenza anagrafica e dimora abituale;
  3. il contratto deve essere registrato all’AdE;
  4. il comodante deve essere residente e dimorare abitualmente nello stesso Comune in cui è situato l’immobile concesso in comodato;
  5. il comodante deve possedere una sola abitazione in Italia (ossia quella oggetto del contratto) o solo una seconda abitazione nella quale ha stabilito la propria abitazione principale.

La norma risulta essere molto stringente nel definire i requisiti che permettono di applicare l’agevolazione tributaria. Pertanto, ci si chiede come ci si debba comportare qualora, nelle more della validità del contratto, venga meno un solo requisito richiesto.

É pacifico che la riduzione della base imponibile non potrà essere applicata fino a quando il contratto di comodato non sarà registrato all’AdE, sebbene sia valido tra le parti contraenti; è altrettanto indiscutibile che la riduzione non dovrà essere applicata qualora il soggetto passivo-comodante acquisti o erediti un’altra abitazione (ad es. una seconda casa per vacanze), così come nel caso in cui lo stesso soggetto trasferisca la propria residenza in altro Comune.

Diversa soluzione può invece essere individuata qualora sia il comodatario a spostare la propria residenza per motivi non direttamente ad esso imputabili.

Si può infatti ritenere che, qualora il soggetto comodatario sia costretto a trasferire la propria residenza, per evidenti necessità oggettive, pur in presenza di un contratto di comodato a suo favore, il comodante potrebbe aver comunque diritto alla riduzione della base imponibile purché l’abitazione non sia occupata da altri soggetti ma resti nella potenziale disponibilità del comodatario.

Si pensi, nello specifico, al caso del genitore che deve essere trasferito presso una casa di cura o di riposo, circostanza che è spesso imposta dalle condizioni di salute del soggetto e non dipende da una mera scelta di convenienza.

In questa particolare fattispecie, potrebbe a nostro avviso trovare applicazione indiretta il principio posto dal Legislatore riguardo l’assimilazione dell’abitazione principale del soggetto residente in casa di cura.

Qualora quindi il Comune avesse regolamentato tale assimilazione, considerato che in presenza del contratto di comodato, il proprietario-comodante non ritorna nella disponibilità del bene (il contratto continua ad essere efficace tra le parti), si potrebbe ritenere che fino alla scadenza naturale del contratto, ovvero al verificarsi di condizioni che dimostrino una diversa utilizzazione dell’immobile (ad es. una locazione), la riduzione della base imponibile sia comunque applicabile, benché il comodatario non risieda nell’immobile.

Se invece il trasferimento della residenza del comodatario fosse dovuta a motivazioni diverse (ad es. trasferimento del luogo di lavoro), in assenza di un principio legislativo applicabile per analogia, la riduzione della base imponibile non dovrà essere più riconosciuta in quanto non sarebbero soddisfatti tutti i requisiti previsti per la sua applicazione.