Con l’ordinanza n. 20444 del 21 luglio 2025, la Sezione Lavoro della Cassazione ha formulato il seguente principio di diritto: «in ambito di pubblico impiego, anche in ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro per colpa del lavoratore, ivi compreso il caso del licenziamento disciplinare senza preavviso, non si perde il diritto alla monetizzazione delle ferie maturate, a meno che il datore di lavoro dimostri di aver invitato in precedenza il dipendente a godere del periodo di congedo e di averlo avvisato che, in mancanza, le ferie sarebbero andate perse».
Infatti, precisa la Corte, l’operare della monetizzazione anche in presenza di dimissioni, sta ad evidenziare che i comportamenti datoriali di invito ed avviso alla fruizione delle ferie operano obiettivamente come presupposto per la perdita, in ipotesi, del diritto alla monetizzazione, quale effetto, a quel punto, di un’inerzia qualificata del lavoratore.
Le difficoltà che la cessazione del rapporto per fatto riferibile al lavoratore (dimissioni, recesso datoriale per fatto del lavoratore, ecc.) comportano rispetto al comportamento datoriale da cui potrebbe derivare la neutralizzazione del diritto alla monetizzazione non hanno in definitiva rilievo causale, perché rileva oggettivamente soltanto che quel comportamento di invito ed avviso vi sia stato o meno e ciò a preminente tutela del diritto alle ferie o alla fruizione dell’indennità succedanea, non suscettibili di essere subordinati ad altre condizioni.
D’altra parte, se si ragiona su ferie rispetto alle quali siano già scaduti i termini di fruizione secondo la normativa applicabile presso l’ente di riferimento, va da sé che il ritardo maturato senza che il datore abbia attuato quanto necessario per il godimento del diritto si imputa comunque al datore stesso.
Se invece si ragione su ferie rispetto alle quali quei termini non siano ancora scaduti allorquando il rapporto cessi anche per fatto riferibile al lavoratore, non avrebbe senso economico escludere la monetizzazione dei corrispondenti periodi, perché in quel medesimo contesto temporale dell’ultimo periodo del rapporto il datore avrebbe dovuto comunque soggiacere al godimento delle ferie da parte del lavoratore e dunque non vi è alla fine una differenza sostanziale se egli si veda addossato, in mancanza, l’onere economico dell’indennità sostitutiva.
A ciò si aggiunge poi la considerazione già svolta nella precedente sentenza n. 19659/2023, secondo cui, sottraendo l’equivalente pecuniario delle ferie dell’ultimo anno si finirebbe per realizzare un esito «non compatibile con l’attuale ordinamento, dell’applicazione al dipendente, come effetto del suo illecito disciplinare, di una sanzione non tipizzata ed ulteriore rispetto a quella, prevista, della perdita del posto di lavoro».