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Nel definire il valore della retribuzione di posizione spettante ai propri dirigenti la PA è tenuta al rispetto delle clausole generali di correttezza e buona fede

Come da questa Corte già affermato in passato, nel pubblico impiego contrattualizzato, tutti gli atti di gestione del rapporto devono essere conformi ai principi generali di cui agli art. 1175 e 1375 cod. civ. (correttezza e buona fede) oltre che al principio di buon andamento della P.A. di cui all’art. 97 Cost.; così, anche con riferimento alla definizione della retribuzione di posizione per ciascuna funzione dirigenziale, in rapporto alla graduazione (‘pesatura’) dei compiti e delle responsabilità, che ha natura discrezionale, il giudice può sindacare l’operato dell’amministrazione oltre che sotto il profilo del rispetto delle regole procedimentali cui l’esercizio del potere è subordinato, anche sotto quello della violazione degli obblighi di correttezza e buona fede, i quali implicano il divieto di perseguire intenti discriminatori o ritorsivi e di determinarsi sulla base di motivazioni non ragionevoli (v. Cass. 18 ottobre 2019, n. 26615); in tali casi il dipendente può esercitare l’azione di esatto adempimento, al fine di ottenere la ripetizione della procedura valutativa, ovvero domandare il risarcimento del danno, non potendo il giudice sostituirsi al datore di lavoro nella formulazione del giudizio, mediante l’attribuzione del punteggio negato al lavoratore, salva l’ipotesi in cui lo stesso datore abbia limitato la propria discrezionalità prevedendo punteggi fissi da attribuire in relazione a titoli oggettivamente predeterminati.

È quanto precisato dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 34555 del 16 novembre 2021.