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Le condotte discriminatorie o ritorsive tenute dal Sindaco sono punibili per violazione dell’art. 97 Cost. che fissa il principio di imparzialità della Pa

Con sentenza n. 2080 del 18 gennaio 2022, la Prima Sezione Penale della Cassazione ha confermato la condanna di un Sindaco per il reato di abuso d’ufficio per via del mancato rinnovo, per fini ritorsivi e discriminatori, dell’incarico di responsabile dell’Area Vigilanza del Comune.

I Giudici hanno ricordato in premessa che l’articolo 23 del d. I. 16 luglio 2020, n. 76, convertito con legge 11 settembre 2020, n, 120 ha modificato la disposizione incriminatrice dell’art. 323 cod. pen. specificando che la condotta abusiva deve connotarsi per la “violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”.

E non è dubbio che questo intervento di novella abbia comportato la riduzione dell’ambito applicativo della norma incriminatrice, “determinando una parziale abolitio criminis in relazione alle condotte commesse prima dell’entrata in vigore della riforma, realizzate mediante violazione di norme regolamentari o di norme di legge generali e astratte, dalle quali non siano ricavabili regole di condotta specifiche ed espresse o che lascino residuare margini di discrezionalità” -Sez. 6, n. 442 del 09/12/2020, dep. 2021, Rv. 280296.

Ma, come specificato dal principio di diritto appena richiamato, l’effetto abrogativo ha riguardato le condotte poste in essere con violazione di mere norme regolamentari o di norme di legge prive del connotato dell’immediata precettività.

Nel caso in esame, afferma invece la sentenza, la condotta per la quale è intervenuta condanna è stata qualificata in via principale dalla violazione dell’art. 97 Cost., specificamente del principio di imparzialità. Sul punto è stato opportunamente osservato che, nella misura in cui vieta condotte di attuazione di intenti discriminatori o ritorsivi, il principio costituzionale ha immediata portata precettiva, perché il divieto, direttamente desumibile dal connotato dell’imparzialità, non necessita di alcun ulteriore adattamento o specificazione – in tal senso sì è espressa Sez. 6, n. 22871 del 21/02/2019, Rv. 275985, che ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso proposto proprio dal Sindaco contro la sentenza di condanna.

La sentenza da ultimo citata, definendo il giudizio di cognizione nei confronti dell’attuale ricorrente, ha chiarito che gli articoli 54 e 97 cost., che stabiliscono, rispettivamente, che le funzioni pubbliche devono essere esercitate con disciplina ed onore e che i pubblici uffici devono essere organizzati in modo da assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’azione amministrativa, “contengono un immediato risvolto applicativo, imponendo da un lato il rispetto della causa di attribuzione del potere, in modo che lo stesso non sia esercitato al di fuori dei suoi presupposti, e dall’altro l’imparzialità dell’azione, la quale non deve essere contrassegnata da profili di discriminazione e ingiustizia manifesta, aspetti di per sé contrastanti con l’intero assetto costituzionale dei poteri amministrativi, come in concreto poi disciplinati dalla legge”.

Per le ragioni appena esposte la Corte ha ritenuto che l’art. 97 Cost., se riguardato dalla prospettiva delle condotte ritorsive o discriminatorie, e quindi dalle condotte assunte in spregio al contenuto minimo del principio di imparzialità dell’azione amministrativa, esprima una specifica regola di condotta, quale è appunto quella di astenersi dal tenere quel tipo di comportamenti.

La conseguenza è che l’intervento di novella dell’art. 323 cod. pen. – di cui al menzionato articolo 23 del d. I. 16 luglio 2020, n. 76, convertito con legge 11 settembre 2020, n, 120 – non può essere evocato per affermare la sopravvenuta parziale abrogazione della norma incriminatrice.