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Le cave estrattive scontano l’IMU come fabbricati di categoria D o come aree fabbricabili

Con la sentenza n. 1404 del 18/01/2022, la Corte di Cassazione, dopo una ricostruzione del quadro normativo di riferimento, risolve la questione attinente alla corretta qualificazione catastale delle cave estrattive.
Più precisamente, la Suprema Corte rileva in primo luogo che l’art. 18 R.D. 1572/1931, istitutivo del catasto, escludeva dalla stima fondiaria i terreni adibiti a cave. Tale disposizione però “non esclude che le cave siano iscritte in catasto, ma dispone soltanto che esse saranno escluse dalla sola operazione di stima fondiaria”. Ne deriva, che “i terreni adibiti a cava devono essere iscritti al catasto al fine di essere identificati per rilevare l’estensione delle singole proprietà e delle diverse particelle catastali e per essere ivi graficamente rappresentati con mappe planimetriche”.

In secondo luogo, rileva come ai sensi dell’art. 4 R.D.L. 652/1939, conv. con L. 1249/1939, “si considerano come “immobili urbani i fabbricati e le costruzioni stabili di qualunque materiale costituite, diversi dai fabbricati rurali”, ivi compresi “gli edifici sospesi o galleggianti, stabilmente assicurati al suolo”. Inoltre, il successivo art. 5 prevede che costituisce unità immobiliare urbana “ogni parte di immobile che, nello stato in cui si trova, è di per sé stessa utile ed atta a produrre un reddito proprio”. 

In ultimo, il D.M. 2 gennaio 1998, n. 28 Regolamento recante norme in tema di costituzione del catasto dei fabbricati e modalità di produzione ed adeguamento della nuova cartografia catastale, stabilisce che il catasto dei fabbricati rappresenta l’inventario del patrimonio edilizio nazionale e che l’unità immobiliare “è costituita da una porzione di fabbricato, o da un fabbricato, o da un insieme di fabbricati ovvero da un’area, che, nello stato in cui si trova e secondo l’uso locale, presenta potenzialità di autonomia funzionale e reddituale”.

Alla luce di queste premesse normative, la Cassazione afferma che la cava rappresenta certamente un’area dotata di una autonomia funzionale e reddituale e, pertanto, deve essere escluso che terreni urbanisticamente destinati allo svolgimento di attività industriale, come quella estrattiva, possano considerarsi agricoli. 

Ne deriva quindi essa debba essere qualificata come area fabbricabile dato che, seppure adibita ad attività estrattiva secondo lo strumento urbanistico, è altresì suscettibile di edificazione, ancorché limitata alla realizzazione di fabbricati strumentali (orientamento già confermato con le sentenze 14409/2017, 3267/2019 e 30752/2021) ovvero come fabbricato di categoria D/1, secondo quanto previsto nella nota dell’Agenzia delle Entrate n. 75779/2008, nella quale è riconosciuto che i redditi derivanti dall’attività di sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni e altre acque interne sono qualificati dall’ordinamento come redditi d’impresa (D.Lgs. n. 344 del 2002, art. 55, lett. b) la cui tassazione avviene sulla base del reddito effettivamente prodotto, e non sull’attitudine del bene a produrre reddito, con esclusione, quindi, della rilevanza degli estimi catastali.

Benché la pronuncia non riguardi direttamente l’applicazione del tributo, è evidente che le conclusioni cui giungono i Giudici di legittimità ha risvolti rilevanti in termini di imposizione IMU, dal momento che la conseguenza non può che essere quella di tassare l’immobile considerando il valore venale in comune commercio al 1° gennaio o la rendita catastale, ossia valori certamente più significativi rispetto a quelli fondiari. Inoltre, resta salva la possibilità per gli Enti di attivare la procedura di accatastamento d’ufficio, di cui all’art. 1 co. 336 L. 311/2014, nonché la possibilità di procedere con la quantificazione del valore mediante le scritture contabili, metodo previsto per gli immobili di categoria D non ancora accatastati.