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La rimozione del dirigente dall’incarico dirigenziale di maggiore pregnanza si può configurare in certi casi come mobbing lavorativo

Con l’ordinanza n. 35235 del 30 novembre 2022, la Corte di Cassazione, Sezione lavoro, è tornata a pronunciarsi in materia di mobbing ribadendo quali siano i presupposti necessari e indefettibili per conseguire la tutela risarcitoria. Ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo, ribadisce la Cassazione, devono ricorrere: a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio – illeciti o anche leciti se considerati singolarmente – che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; b) l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psicofisica e/o nella propria dignità; d) l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi (Cass. 10 novembre 2017, n. 26684; Cass. 24 novembre 2016, n. 24029; Cass. 6 agosto 2014, n. 17698).

Tutto ciò ribadito, la rimozione del dirigente dall’incarico dirigenziale di maggiore pregnanza in virtù di plurimi provvedimenti illegittimi e quindi annullati dagli organi di giustizia amministrativa, la mancata ottemperanza dell’amministrazione a tali pronunciamenti e, ancora, le interferenze del Sindaco nell’attività di gestione amministrativa deputata al dirigente stesso, costituiscono secondo i Giudici condotte suscettibili di apprezzamento ex art. 2087 cod. civ., disposizione che, nella interpretazione comunemente accolta, si ispira al principio della salvaguardia del diritto alla salute, inteso nel senso più ampio, bene giuridico primario garantito dall’art. 32 della Costituzione, e correlato al principio di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ.

A giudizio della Corte, infatti, non può essere condivisa l’affermazione con cui la Corte distrettuale sottolinea il carattere quasi-politico e fiduciario degli incarichi dirigenziali.

Invero, come si legge nella sentenza in esame, “Nell’ambito del lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni, con riguardo agli incarichi dirigenziali, sulla base della giurisprudenza della Corte costituzionale affermatasi a partire dalle sentenze n. 103 e n. 104 del 2007 e ormai consolidata, le uniche ipotesi in cui l’applicazione dello spoils system può essere ritenuta coerente con i principi costituzionali di cui all’art. 97 Cost. sono quelle nelle quali si riscontrano i requisiti della “apicalità” dell’incarico nonché della “fiduciarietà” della scelta del soggetto da nominare, con la ulteriore specificazione che la fiduciarietà, per legittimare l’applicazione del suindicato meccanismo, deve essere intesa come preventiva valutazione soggettiva di consonanza politica e personale con il titolare dell’organo politico, che di volta in volta viene in considerazione come nominante (Cass. 5 maggio 2017, n. 11015); pertanto, il meccanismo non è applicabile in caso di incarico di tipo tecnico-professionale, come quello di specie, che non comporta il compito di collaborare direttamente al processo di formazione dell’indirizzo politico, ma soltanto lo svolgimento di funzioni gestionali e di esecuzione rispetto agli indirizzi deliberati dagli organi di governo dell’ente di riferimento“.