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Equo compenso flessibile per gli avvocati se la controparte è la Pubblica Amministrazione

Con la recente sentenza n. 9404/2021, il T.A.R. del Lazio ha affermato che:
a) la disposizione di cui all’art. 13-bis, comma 2, della legge n. 247 del 2012, secondo cui si deve fare comunque riferimento alle tariffe di cui al DM 55 del 2014, trova unicamente applicazione per taluni soggetti imprenditoriali (es. imprese assicurative e bancarie) che notoriamente godono di una certa forza contrattuale, non anche per le pubbliche amministrazioni le quali non sono espressamente contemplate tra i soggetti di cui al riportato art. 13-bis, comma 1;
b) del resto, l’estensione automatica ed inequivoca delle disposizioni di cui all’art. 13-bis (equo compenso sulla base dei minimi tariffari) è stata operata dal legislatore soltanto in riferimento ad una particolare categoria di liberi professionisti (quelli di cui all’art. 1 della legge n. 81 del 2017) e non anche nei riguardi della pubblica amministrazione (cfr. richiamato art. 19-quaterdecies del decreto-legge n. 148 del 2017: si veda al riguardo quanto previsto, rispettivamente, dai commi 2 e 3);
c) ne consegue, da quanto descritto, che per la pubblica amministrazione trova sì applicazione il concetto di “equo compenso” ma non entro i rigidi e ristretti parametri di cui al DM contemplato dall’art. 13, comma 6, della legge n. 247 del 2012 (ora, il DM 55 del 2014). Il concetto di “equo compenso”, per quanto riguarda la PA, deve dunque ancorarsi a parametri di maggiore flessibilità legati: da un lato, ad esigenze di contenimento della spesa pubblica (si veda in proposito la consueta clausola di invarianza finanziaria di cui al comma 4 dell’art. 19-quaterdecies del decreto-legge n. 148 del 2017); dall’altro lato, alla natura ed alla complessità delle attività defensionali da svolgere in concreto.