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Certificazione del Fondone: la bozza di Decreto “tradisce” le aspettative degli enti

La bozza di decreto per la definizione dei criteri e la metodologia di certificazione dell’utilizzo del Fondone COVID, ad una prima lettura, delude fortemente la filosofia che in questi mesi di emergenza sanitaria sembrava aver guidato le scelte dello Stato nell’individuazione di tutte le risorse, quasi completamente erogate, da destinare agli enti locali per far fronte alle straordinarie ed epocali difficoltà che si sono trovati a dover affrontare.

Come spesso accade, ma in questo caso, in maniera lampante, ricordiamo come siano gli enti locali l’ultimo baluardo sul territorio che “prova” a far parlare e mettere in collegamento lo Stato con la cittadinanza. Ebbene, proprio con quanto previsto in questo decreto, pare che il legislatore abbia sfoderato il massimo dei tecnicismi e degli automatismi ipotizzabili per la compilazione dei vari schemi allegati ma che si sia scordato del senso degli aiuti mettendo, ancora una volta e molto in ritardo, i ragionieri e con loro gli amministratori che hanno operato scelte spesso difficili e coraggiose, in grosse difficoltà.

Il decreto introduce in maniera puntuale regole e tetti massimi riconoscibili di cui MAI si era parlato prima, o meglio, chi come noi ha seguito i lavori della Conferenza sulla Finanza e l’economia locale IFEL/ANCI avrà potuto cogliere il concetto di perdita massima ristorabile che, all’interno del decreto, compare ben definito nelle Tabelle 1 e 2 dell’Allegato 3. Ma andiamo per ordine.

Gli enti dovranno compilare una prima Tabella divisa in due sezioni, entrata e spesa, facendo riferimento alle voci già presenti ed indicando gli accertamenti/impegni dell’anno 2019 e dell’anno 2020 seguendo, però, criteri non omogenei.

Il decreto prevede, ad esempio, che per l’Imu e la Tasi l’ente non debba compilare nulla in quanto in automatico le celle saranno popolate con le risultanze provenienti dagli F24 presentati rispettivamente entro il 28 febbraio 2020 ed il 28 febbraio 2021. Per cui ci spostiamo su un criterio di cassa che, come sembra, potrebbe portare ad una stortura nel caso in cui un comune avesse incassato cifre rilevanti relative all’anno 2019 per effetto di versamenti in ravvedimento operoso giunti dopo febbraio 2020, che potrebbero ridurre il gap riscontrabile tra i versamenti ordinari delle due annualità considerate.

Anche per il monitoraggio dei dati relativi all’Addizionale IRPEF la compilazione avverrà in automatico partendo dagli F24 ma tutti noi sappiamo che l’inflessione su questa specifica entrata, causata dalla crisi economica portata dal COVID, si avrà, ragionevolmente, a partire dal 2021 e non certo potrà essere valutata confrontando il biennio 2019/2020.

Una delle criticità maggiori, da questa prima analisi della bozza di decreto, è costituita dal citato Allegato 3 “Nota metodologica stima TARI e TARI corrispettivo” che illustra i criteri applicati per il calcolo della perdita massima ammissibile che l’ente può presentare in certificazione. In particolare la Tabella 1 dell’Allegato 3 illustra il tetto massimo di agevolazione ristorabile distinto per classe demografica.

E’ vero che il decreto è ancora in bozza ma è anche vero che ha già ottenuto il parere positivo della Conferenza Stato-Città per cui difficilmente i correttivi, semmai ci saranno, potranno essere decisivi e chiarificatori. E’ altrettanto vero che, al di là dei numerosi aspetti macchinosi e, per alcuni versi inaspettatamente restrittivi, sono presenti diversi chiarimenti che sarà nostra cura analizzare in successivi focus.