Con la recente deliberazione n. 171/2025/PAR, la Sezione regionale di controllo della Corte dei conti dell’Emilia Romagna si è pronunciata sulla corretta qualificazione dei compensi da erogare ai componenti interni delle commissioni di concorso, sulla loro eventuale inclusione nei fondi del salario accessorio e, soprattutto, sulla loro assoggettabilità al limite complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio, così come previsto dall’articolo 23, comma 2, del D.Lgs. n. 75 del 2017.
Il punto di partenza del ragionamento condotto dai giudici contabili è rappresentato dal fatto che, come noto, il comma 12 dell’art. 3 della L. 19 giugno 2019, n. 56, qualifica gli incarichi di presidente, componente o segretario delle commissioni esaminatrici – anche se conferiti presso amministrazioni diverse da quella di appartenenza – come incarichi conferiti «in ragione dell’ufficio ricoperto» e li considera «attività di servizio a tutti gli effetti di legge».
Questa disposizione, secondo la Sezione, ha una portata chiarificatrice di notevole rilievo, poiché consente di superare le incertezze interpretative che in passato avevano caratterizzato il dibattito sulla natura giuridica dell’attività svolta dai commissari interni, stabilendo in modo inequivocabile che l’attività svolta in qualità di componente di commissione non è estranea al rapporto di lavoro, ma ne rappresenta un’esplicazione, pur se talvolta esercitata presso un’amministrazione diversa da quella di appartenenza e nel rispetto della disciplina sulle autorizzazioni prevista dall’art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001.
Il relativo compenso, di conseguenza, ha natura di componente del trattamento economico del dipendente e non può essere degradato a mera liberalità o a indennizzo occasionale. Si tratta, in definitiva, di una retribuzione per un’attività lavorativa svolta nell’interesse dell’amministrazione e nell’ambito del rapporto di pubblico impiego.
Chiarito che il compenso si inserisce nel rapporto di lavoro, occorre stabilire se esso rientri nella categoria del trattamento fondamentale o in quella del trattamento accessorio. Dal punto di vista della distinzione tra queste due componenti retributive, affermano i giudici, il compenso in esame presenta caratteristiche che lo avvicinano in modo evidente alla nozione di trattamento accessorio. Esso, infatti, non è collegato in modo generalizzato e permanente alla posizione giuridica del dipendente, non costituisce una componente fissa e continuativa della retribuzione, non è legato all’anzianità di servizio o alla qualifica rivestita. Al contrario, esso è correlato a una attività aggiuntiva, temporanea e specifica, connessa allo svolgimento di un incarico determinato nel tempo e affidato in ragione dell’ufficio. Si tratta, in altri termini, di un compenso variabile, legato a una particolare condizione di lavoro o a una responsabilità aggiuntiva, che si affianca alla retribuzione ordinaria senza però fondersi con essa.
In sintesi, per la Sezione i compensi spettanti ai componenti interni delle commissioni di concorso presentano la natura di corrispettivo per attività di servizio svolta in ragione dell’ufficio e il carattere di compenso aggiuntivo rispetto alla retribuzione fondamentale.
Non è dato tuttavia rinvenire oggi nell’ordinamento alcuna disposizione che li escluda in via specifica dall’applicazione del limite di cui all’art. 23, c. 2, del D.Lgs. n. 75 del 2017, o che li riconduca a fattispecie di risorse integralmente etero-finanziate e strutturalmente neutrali, come nel caso oggetto della del. n. 18 del 2024 della Sezione delle Autonomie.
In coerenza con i principi affermati dalle Sezioni riunite nella del. n. 51 del 2011, dalla Sezione delle Autonomie nelle del. n. 2 del 2013, n. 20 e n. 23 del 2017 e n. 18 del 2024, e dalla Sezione regionale di controllo per la Puglia nella del. n. 90 del 2025, deve pertanto affermarsi che tali compensi rientrano a pieno titolo tra le “risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale” ai sensi dell’art. 23, c. 2, del D.Lgs. n. 75 del 2017 e sono, conseguentemente, assoggettati al relativo limite complessivo.
Da ultimo, con riferimento al distinto (ma connesso) tema dell’opportunità e, in certa misura, della necessità di inserire i compensi per le commissioni di concorso nei fondi del salario accessorio per il personale non dirigenziale (e nei corrispondenti fondi per la dirigenza), la Corte evidenzia come appaia coerente ritenere che la riconduzione dei compensi aventi natura di trattamento accessorio all’interno dei fondi consenta una gestione più trasparente e controllabile delle risorse, favorendo il rispetto del tetto ex art. 23, c. 2, e dei limiti complessivi alla spesa di personale. L’imputazione esterna ai fondi, pur non incidendo sulla necessità di computare le somme nel tetto, rischia infatti di generare frammentazioni e opacità nella rappresentazione complessiva del trattamento accessorio, rendendo più difficile il monitoraggio della spesa e la verifica del rispetto dei vincoli. Una gestione unitaria e trasparente delle risorse destinate al trattamento accessorio, realizzata attraverso l’imputazione ai fondi, risponde meglio alle esigenze di controllo e di programmazione e consente una più agevole verifica della compatibilità della spesa con i limiti di finanza pubblica.
