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Società in house: sostenibile la costituzione di organi statutari dedicati al controllo analogo

Come noto, la lett. d) del c. 9 dell’art. 11 del D. Lgs. 175/2016 dispone che “9. Gli statuti delle società a controllo pubblico prevedono altresì: (…) d)  il divieto di istituire organi diversi da quelli previsti dalle norme generali in tema di società.” Tale passaggio ha sempre costituito un elemento di riflessione nella regolazione della governance delle società in house providing allorquando si ipotizzi di istituire specifici comitati di coordinamento tra i soci per assicurare e porre effettivamente in essere meccanismi operativi per la conduzione del controllo analogo congiunto; tali comitati di coordinamento, se individuati e disciplinati dallo statuto societario delle società a partecipazione pubblica, costituiscono effettivamente un organo ad hoc, non previsto dalle norme generali in tema di società.

Posto che nella prassi si osserva una diffusa presenza di tali comitati di controllo, spesso istituiti antecedentemente all’entrata in vigore del TUSP, nella recente deliberazione n. 138/2025/PASP della Sezione regionale di controllo per la Toscana, i magistrati contabili sviluppano un’interessante riflessione sulla sostenibilità dell’istituzione di tali comitati nell’ambito delle società in house, seppur in deroga a quanto previsto dal c. 9 dell’art. 11 del D. Lgs. 175/2016. Di seguito stralcio delle considerazioni rinvenibili nella citata deliberazione:

In via generale, questa Corte osserva che tali organismi costituiti al dichiarato fine di disciplinare la collaborazione tra i soci per l’esercizio del controllo analogo, se dotati di poteri vincolanti nei confronti degli organi di amministrazione, costituiscono una rilevante deroga ai meccanismi tipici di funzionamento della società di capitali in grado di assicurare ai soci pubblici, collettivamente considerati, un’influenza determinante e un controllo effettivo sulla gestione dell’ente partecipato (cfr. Cons. St., sez. V, sentenza 30 aprile 2018, n. 2599).
Va sin da subito precisato che la previsione di tale organo – nella fattispecie in esame contenuta nello Statuto – non appare in contrasto con l’art. 11, comma 9, lett. d), del TUSP, secondo cui “Gli statuti delle società a controllo pubblico prevedono altresì il divieto di istituire organi diversi da quelli previsti dalle norme generali in tema di società”. A conforto di ciò militano sia ragioni di carattere normativo/testuale sia considerazioni specifiche correlate alla peculiarità stessa della società in house.
In merito al primo profilo, deve, infatti, rilevarsi come il divieto previsto al citato art. 11 non sia ulteriormente richiamato dall’art. 16, dedicato proprio alle società in house, la cui disciplina appare, pertanto, speciale e derogatoria (in tal senso, cfr. Cons. St., sez. IV, sentenza, 22 ottobre 2021, n. 7093; Cons. St., sez. V, sentenza, 15 dicembre 2020, n. 8028). Secondariamente, il modello organizzativo dell’in house providing presenta peculiarità strutturali, in particolare il requisito del controllo analogo, tali per cui lo statuto non può replicare tout court regole e procedure previste per le società di capitali di diritto comune. Sin dal leading case della Corte di Giustizia, sentenza 13 ottobre 2005, C-458/03 Parking Brixen, la giurisprudenza europea e nazionale – ora recepita legislativamente all’art. 2, c. 1, lett. c, del TUSP – declina il controllo analogo in una forma di eterodirezione della società, nella quale i poteri di governance non appartengono agli organi amministrativi, ma al socio pubblico controllante che si impone a questi ultimi con le proprie decisioni.
Le società in house sono, dunque, governate da una logica esattamente opposta a quella accolta nel codice civile per le società di capitali, ove, per l’esigenza di garantire la separazione tra la gestione dell’impresa sociale e la proprietà della stessa, è riconosciuta agli amministratori la competenza gestoria esclusiva con carattere generale (art. 2380 bis c.c.).
La diversità morfologica delle società in house si riflette e trova conforto nella possibilità che l’art. 16, comma 2, lett. a) del TUSP assegna agli statuti delle società in house di derogare alle disposizioni dell’articolo 2380 bis c.c., relativo ai poteri degli amministratori nel sistema di governance ordinario, e dell’articolo 2409 novies c.c., concernente i medesimi poteri in caso di opzione per il sistema dualistico; tale scostamento, consentito dal legislatore, va inteso quale deroga all’ordinario sistema di gestione della società per azioni incentrato sul rapporto tra organo amministrativo e assemblea sociale. Sul punto, la giurisprudenza amministrativa ha infatti affermato che “lo statuto di una società in house pluripartecipata (e, dunque, dell’autonomia privata dei soci partecipanti) può, dunque, assegnare il potere gestorio ad organi assembleari diversi dal consiglio di amministrazione configurando, così, un peculiare sistema di amministrazione e controllo della società in house, nel quale gli amministratori sono privi di poteri decisionali propri, che derivano, invece, da altri organi della società, e che, comunque, non esercitano in piena autonomia rispetto ad essi (Cons. St., sez. V, sentenza, 15 dicembre 2020, n. 8028).
Tale conclusione trova riscontro anche nella giurisprudenza comunitaria. Più in dettaglio, la Corte di giustizia, sentenza del 10 settembre 2009, C-573/07 Sea, ha ritenuto “validi strumenti” per l’esercizio del controllo analogo congiunto organi come i Comitati tecnici o unitari in presenza delle seguenti condizioni: i) che ogni socio pubblico abbia un proprio rappresentante nel Comitato; ii) che le deliberazioni siano assunte con maggioranze formate per unità; iii) che vengano introdotti poteri di controllo e di gestione tali da restringere l’autonomia decisionale del Consiglio di amministrazione, attraverso l’imposizione di indirizzi e prescrizioni, nonché la previsione di poteri consultivi preventivi.

Tags: Controllo analogo, Società in house