Skip to content

Legittima l’erogazione di incentivi per funzioni tecniche al personale di una società in house

Una Pubblica Amministrazione può coinvolgere il personale della propria società in house per lo svolgimento delle funzioni tecniche nell’ambito di un procedimento di affidamento a terzi, ai sensi dell’art. 45 e dell’Allegato I.10 del d.lgs. n. 36/2023.

A fronte di ciò, l’erogazione dei correlati incentivi per funzioni tecniche può avvenire sia nei confronti del personale dell’Amministrazione, sia nei riguardi del personale della società in house.

Ai fini di una legittima erogazione dei suddetti incentivi, occorre tuttavia che: a) l’attività collaborativa svolta dal personale della società in house abbia luogo esclusivamente nell’ambito di procedure di affidamento a terzi, ex art. 45, comma 2 cit.; b) l’Amministrazione e la società in house definiscano in maniera puntuale i presupposti di attività e l’ambito di inserimento dei dipendenti della società stessa, nonché le modalità di corresponsione degli incentivi suddetti, anche allo scopo di impedire qualunque forma di ulteriore -doppia- remunerazione ai dipendenti societari, in via aggiuntiva rispetto all’art. 45 cit.; c) restino fermi sia i limiti dell’accantonamento effettuato dall’Amministrazione, sia i criteri di ripartizione ex art. 45, comma 3, ultimo periodo, d.lgs. n. 36/2023.

È quanto precisato dalla Sezione regionale di controllo della Corte dei conti della Lombardia nella recente deliberazione n. 128/2025/PAR.

A giudizio della Sezione, infatti, dette conclusioni non risultano scalfite dalle modifiche al comma 2 dell’art. 45 del Codice dei contratti apportate in sede di correttivo con d.lgs. 31 dicembre 2024, n. 209.

Invero, per il Collegio vale la pena evidenziare in proposito che, all’esito della novella, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti destinano risorse finanziarie per le funzioni tecniche svolte “dal proprio personale”, laddove la previgente formulazione si imperniava in maniera più generica sulle funzioni svolte “dai dipendenti”.

Ebbene, proprio in un’ottica di interpretazione sistematica e di prospettiva funzionale deve ritenersi che l’odierno sintagma sul “proprio personale” vada riferito a tutti i lavoratori ricompresi all’interno del perimetro dell’Ente pubblico, risultandovi perciò inclusi anche i dipendenti delle relative società in house.

Non osta a tale conclusione l’obiettiva circostanza che il soggetto in house sia una società dotata di autonoma personalità giuridica (come chiarito sopra al § 2.a), sottoposta pertanto alle norme del Codice civile e del d.lgs. n. 175/2016 (TUSP).

A ben vedere, invece, ciò che qui rileva è che la figura societaria in esame agisce in qualità di “longa manus della Pubblica Amministrazione e della sua organizzazione come mera articolazione interna della stessa, per effetto del controllo analogo esercitato dall’ente pubblico sugli organi e l’attività dell’ente privato”, con puntuale riferimento al settore operativo – di cui si controverte – “dell’affidamento diretto di contratti ad opera dell’ente partecipante, a determinate condizioni, in deroga alle regole dell’evidenza pubblica” e in relazione alla “necessaria applicazione di tali regole ai contratti stipulati dalla società per l’acquisto di lavori, beni e servizi” (cfr. Cass. civ., Sez. I, ord. n. 23386/2024).

Ad ogni evidenza, precisa ancora il parere, nella specifica materia della contrattualistica pubblica – alla quale attiene la richiesta di parere in oggetto – costituisce jus receptum che “la società in house non possa qualificarsi come un’entità posta al di fuori dell’ente pubblico, il quale ne dispone come di una propria articolazione interna: essa, infatti, rappresenta un’eccezione rispetto alla regola generale dell’affidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica, giustificata dal diritto comunitario con il rilievo che la sussistenza delle relative condizioni legittimanti “esclude che l’in house contract configuri, nella sostanza, un rapporto contrattuale intersoggettivo tra aggiudicante ed affidatario, perché quest’ultimo è, in realtà, solo la longa manus del primo” (Corte costituzionale, n. 325 del 3 novembre 2010), talché “l’ente in house non può ritenersi terzo rispetto all’amministrazione controllante ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell’amministrazione stessa” (così Cons. Stato, Ad. plen., n. 1/2008, cit.; va solo precisato che tale conclusione non cambia ove si ritenga che, in linea con la più recente normativa europea e nazionale, il ricorso all’in house providing si atteggi in termini di equiordinazione – e non più di eccezionalità – rispetto alle altre forme di affidamento)” (così ex plurimis Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 6062/2021).

È per tale ragione, quindi, che la società in house e il relativo personale risultano funzionalmente inseriti nella sequela procedimentale a supporto della P.A., ai fini dell’esternalizzazione di lavori/servizi/forniture.

Appare però opportuno ribadire che, in consonanza con i rilievi spesi dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (cfr. parere n. 36 del 3 luglio 2024), ai fini di una valida erogazione degli incentivi, il coinvolgimento del personale della società in house e la relativa attività possono avvenire soltanto nell’ambito di “procedure di affidamento” a terzi ex art. 45, comma 2, Cod. contratti.

Viceversa, con riferimento all’opposta ipotesi in cui il rapporto sia esclusivamente tra Comune controllante e società controllata, si sostanziano delle “attività svolte in autoproduzione dalla società in house stessa e senza ricorso al mercato” che precludono l’erogazione delle misure: è stato affermato come in tal caso “non sia possibile riconoscere gli incentivi de quibus, stante il rapporto di immedesimazione organica rispetto all’ente dante causa e la conseguente assenza di terzietà della società in house” (cfr. in termini ANAC, parere n. 36/2024 cit.).

Tags: Incentivi funzioni tecniche, Società in house