Come noto, in sede di conversione del D.L. n. 25/2025, è stata introdotta una norma che consente a Comuni, Città metropolitane e Province di incrementare (già a decorrere dall’anno 2025) l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al finanziamento del salario accessorio del personale non dirigente in deroga al limite di spesa di cui all’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75.
È ormai risaputo, però, che non tutti gli enti potranno avvalersi di questa facoltà, poiché la norma subordina la legittimità del suddetto incremento al rispetto di una serie di condizioni di virtuosità finanziaria, tra cui la salvaguardia dell’equilibrio pluriennale di bilancio (asseverata dall’organo di revisione) e la sostenibilità finanziaria dei connessi costi rispetto agli equilibri di finanza pubblica.
Inoltre, a differenza di quanto previsto per il personale dello Stato, le eventuali maggiori risorse disponibili saranno interamente a carico dei bilanci delle singole amministrazioni locali (senza alcuna forma di cofinanziamento statale).
Dunque, solo le amministrazioni in equilibrio e con bilanci solidi potranno effettivamente beneficiare della rimozione del tetto di spesa.
La norma fissa poi anche un limite massimo al possibile aumento del salario accessorio, stabilendo che l’ammontare delle risorse stabili del Fondo (cioè quelle aventi carattere di certezza, stabilità e continuità), sommate agli importi previsti per la remunerazione delle Elevate Qualificazioni, non possa in ogni caso superare il 48% della spesa complessiva sostenuta nel 2023 per gli stipendi tabellari del personale non dirigenziale.
E qui sorgono i primi dubbi applicativi.
La parte stabile del Fondo deve essere considerata nella sua interezza in questo caso, oppure va depurata delle poste che non rilevano ai fini del rispetto del limite 2016 (es. risorse di cui al comma 1, lettere b), d), e quelle di cui ai commi 1-bis e 3 dell’art. 79 del CCNL 2019-2021)?
Sulla base della formulazione letterale della norma (che parla di «somme destinate alla componente stabile del predetto Fondo») non sembra sia possibile espungere alcuna voce dal calcolo, però appare oggettivamente irragionevole dover considerare al numeratore quelle poste che sono già di per sé escluse dal limite in oggetto.
Ma è soprattutto sulla quantificazione del denominatore che si registrano le maggiori incertezze. La norma parla infatti di «spesa complessivamente sostenuta nell’anno 2023 per gli stipendi tabellari delle aree professionali». Per cui occorre considerare a questo fine il solo tabellare previsto dalla tabella G del CCNL 2019-2021 o anche i differenziali stipendiali già maturati dal personale dipendente alla data di entrata in vigore del citato CCNL (ossia il differenziale relativo alle posizioni economiche in godimento derivanti dall’istituto delle progressioni economiche, determinato dalla differenza tra il nuovo stipendio tabellare e la posizione economica rivestita all’entrata in vigore del CCNL)?
L’espresso riferimento operato dal legislatore ai soli “tabellari delle aree professionali” sembrerebbe, a prima vista, escludere la possibilità di inserire nel calcolo anche il valore dei differenziai stipendiali di cui all’art. 78, comma 3, lett. b), del CCNL 2019-2021, ma così facendo si introdurrebbe di fatto un ulteriore elemento di differenziazione a danno degli enti in cui queste voci stipendiali rappresentano una quota rilevante della retribuzione.
Da ultimo, è interessante notare che qui, a differenza di quanto avviene nel caso di adeguamento del tetto del salario accessorio in relazione all’incremento numerico del personale in servizio (ex art. 33, comma 2, del D.L. 34/2019), non sembra ci siano i presupposti per derogare ai limiti generali di spesa previsti dai commi 557 e 562 dell’art. 1 della L. n. 296/2006. Invero, sebbene la norma in commento stabilisca che lo stanziamento di risorse aggiuntive debba avvenire comunque nel rispetto dei valori soglia di spesa previsti dall’articolo 33, commi 1, 1-bis e 2, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, l’art. 7, comma 1, del D.M. del 17 marzo 2020 prevede l’esclusione dai su riferiti limiti di spesa dei soli maggiori oneri derivanti dall’assunzione di nuovo personale a tempo indeterminato e non anche di quelli connessi con eventuali incrementi discrezionali del Fondo.
Ciò, tuttavia, se confermato, rischia di ridurre ulteriormente la platea dei possibili beneficiari dell’adeguamento retributivo.