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Sulla sospensione del procedimento disciplinare in pendenza di quello penale

Con la recente sentenza n. 7267 del 19 marzo 2024, la Sezione Lavoro della Cassazione ha ricordato che l’art. 55-ter, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001 conferisce alla pubblica amministrazione un’ampia facoltà discrezionale nella scelta tra la prosecuzione del procedimento disciplinare in pendenza del processo penale per i medesimi fatti (così facendo valere il principio della tendenziale autonomia tra i due procedimenti) e la sospensione del procedimento disciplinare. La sospensione può essere disposta sia nell’interesse della pubblica amministrazione a recepire tutte le prove che saranno raccolte e formate nel processo penale, sia nell’interesse del lavoratore di poter beneficiare dell’eventuale assoluzione in sede penale e delle evidenze a discarico emerse in quel processo.

La stessa pendenza del processo penale, affermano i giudici, presuppone e dimostra che sono in corso accertamenti sui fatti oggetto anche di contestazione disciplinare, il che rende quasi insindacabile la scelta della pubblica amministrazione di sospendere il procedimento disciplinare, tant’è che nei precedenti di questa Corte in cui si è affermato il principio della discrezionalità del comportamento della pubblica amministrazione non era in discussione tale scelta, bensì quella successiva di riattivare il procedimento disciplinare prima che il processo penale fosse giunto a conclusione, il che poneva il problema di una potenziale contraddizione tra le due scelte (v. Cass. nn. 7085/2020; 12662/2019; tale questione è stata nel frattempo fatta oggetto di specifica disciplina legislativa con l’integrazione dell’art. 55-ter, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001 introdotta dal d.lgs. n. 75 del 2017).

Con la stessa pronuncia, i giudici hanno poi altresì escluso l’applicabilità dell’art. 51 c.p.c. al procedimento disciplinare, il quale è regolato dalle disposizioni imperative dell’art. 55-bis del d.lgs. n. 165 del 2001, in forza delle quali il principio di terzietà postula solo la distinzione, sul piano organizzativo, fra l’Ufficio per i Procedimenti Disciplinari e la struttura nella quale opera il dipendente incolpato e «non va confuso con la imparzialità dell’organo giudicante, che solo un soggetto terzo rispetto al lavoratore ed alla amministrazione potrebbe assicurare. Il giudizio disciplinare, infatti, sebbene connotato da plurime garanzie poste a difesa del dipendente, è comunque condotto dal datore di lavoro, ossia da una delle parti del rapporto che, in quanto tale, non può certo essere imparziale, nel senso di essere assolutamente estraneo alle due tesi che si pongono» (Cass. n. 1753/2017; conformi, ex multis, Cass. nn. 29461/2023; 20721/2019).