Con un’interessante pronuncia resa lo scorso 26 marzo, il T.A.R. della Campania (Sezione prima della sede distaccata di Salerno) ha fornito alcune interessanti precisazioni in tema di diritto di accesso agli atti da parte dei consiglieri comunali e provinciali.
Secondo i giudici deve anzitutto ritenersi illegittima una previsione regolamentare interna che consente agli uffici di evadere le richieste di accesso entro 30 giorni “lavorativi” dalla loro presentazione, poiché la stessa finisce per disegnare una tempistica tale da dilatare eccessivamente i termini (massimi) di riscontro all’accesso del consigliere comunale.
Del pari è da censurare la previsione del testo regolamentare secondo la quale “il diritto di accesso può essere differito del responsabile del servizio competente…… fermo restando comunque l’obbligo di fissare il tempo del differimento, dandone notizia al richiedente”.
Tale disposizione, nel prevedere una possibilità di differimento generalizzata, non ancorata a fattispecie precisamente individuate e in ogni caso sottratta all’obbligo di motivazione, si pone infatti in contrasto sia con l’art. 25, comma 3, l. n. 241/1990 (a mente del quale “Il rifiuto, il differimento e la limitazione dell’accesso sono ammessi nei casi e nei limiti stabiliti dall’articolo 24 e debbono essere motivati”) sia con l’art. 9 del d.P.R. 12 aprile 2006, n.184 (che precisa che “1. Il rifiuto, la limitazione o il differimento dell’accesso richiesto in via formale sono motivati, a cura del responsabile del procedimento di accesso, con riferimento specifico alla normativa vigente, alla individuazione delle categorie di cui all’articolo 24 della legge, ed alle circostanze di fatto per cui la richiesta non può essere accolta così come proposta. 2. Il differimento dell’accesso è disposto ove sia sufficiente per assicurare una temporanea tutela agli interessi di cui all’articolo 24, comma 6, della legge, o per salvaguardare specifiche esigenze dell’amministrazione, specie nella fase preparatoria dei provvedimenti, in relazione a documenti la cui conoscenza possa compromettere il buon andamento dell’azione amministrativa. 3. L’atto che dispone il differimento dell’accesso ne indica la durata”).
Non può invece considerarsi illegittima la previsione regolamentare che limita le modalità di esercizio del diritto d’accesso dei consiglieri comunali a due soli giorni settimanali e, nel loro ambito, a determinate fasce orarie (limitazione che, è bene precisare, riguarda la fase di visione ed acquisizione di copia, potendo la richiesta essere inoltrata in ogni momento a mezzo a pec, ai sensi dell’art. 10 del regolamento), poiché la stessa risulta coerente con le esigenze di funzionamento degli uffici e di razionale organizzazione del lavoro in un piccolo Comune, quale quello resistente, non concretandosi in una restrizione palesemente eccessiva ed illegittima tale rendere, di fatto, impossibile o, almeno, estremamente gravoso, il concreto esercizio del diritto di accesso da parte del consigliere comunale.
Per quanto riguarda, poi, le modalità di accesso digitale dei consiglieri al registro di protocollo informatico dell’ente locale tramite il rilascio di apposite credenziali, la sentenza afferma che la mancata previsione di modalità di accesso informatico non inficia la qualità del diritto dei consiglieri comunali, né rappresenta un reale impedimento per l’espletamento del munus pubblico; invero, l’esercizio del diritto di accesso al registro di protocollo non risulta, sulla base del testo regolamentare, in alcun modo compromesso o limitato, dato che – come riconosciuto dagli stessi ricorrenti – esso è assoggettato alla generale disciplina dettata per le altre tipologie di atti amministrativi.
Appaiono invece certamente censurabili quelle previsioni regolamentari che stabiliscono che “la richiesta di accesso non è accoglibile se concerne intere categorie di atti” e introducono esclusioni dal diritto di accesso con riguardo a “gli scritti defensionali, i pareri legali e la relativa corrispondenza informativa degli avvocati comunali e dei Professionisti esterni di fiducia incaricati dall’Amministrazione allorché sia necessario tutelare la riservatezza delle procedure contenziose o precontenziose curate dagli Uffici Comunali” nonché ai “protocolli riservati come previsto dall’art. 29 del Regolamento per la tenuta del protocollo”.
Infatti, la giurisprudenza amministrativa tradizionalmente afferma che i consiglieri comunali vantano un incondizionato diritto di accesso – prevalente anche sull’eventuale diritto alla riservatezza dei terzi coinvolti dalle istanze ostensive, tenuto conto del segreto d’ufficio cui gli stessi sono tenuti – a tutti gli atti che possono essere utili all’espletamento delle loro funzioni.
Tale estesa latitudine del diritto si giustifica poiché lo strumento dell’accesso è funzionale a consentire al consigliere di valutare la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’Amministrazione, nonché di esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio oltre che di promuovere, nell’ambito di quest’ultimo, tutte le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale.
Siffatto diritto, quindi, al fine di «evitare che sia la stessa Amministrazione a diventare arbitro dell’ambito del controllo sul proprio operato […] non incontra alcuna limitazione in relazione alla eventuale natura riservata degli atti, stante il vincolo al segreto d’ufficio ex art. 622 cod. pen., e alla necessità di fornire la motivazione della richiesta. In definitiva gli unici limiti all’esercizio del diritto di accesso dei consiglieri comunali possono rinvenirsi, per un verso, nel fatto che esso deve avvenire in modo da comportare il minor aggravio possibile per gli uffici comunali e, per altro verso, che esso non deve sostanziarsi in richieste assolutamente generiche ovvero meramente emulative, fermo restando tuttavia che la sussistenza di tali caratteri deve essere attentamente e approfonditamente vagliata in concreto al fine di non introdurre surrettiziamente inammissibili limitazioni al diritto stesso» (T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 4 maggio 2020, n. 926).
Ancor più esplicitamente è stato affermato che “di conseguenza sul consigliere comunale non può gravare alcun particolare onere di motivare le proprie richieste di accesso, atteso che, diversamente opinando, sarebbe introdotto una sorta di controllo dell’ente, attraverso i propri uffici, sull’esercizio del mandato del consigliere comunale; dal termine “utili” contenuto nel prima ricordato art. 43 non può conseguire alcuna limitazione al diritto di accesso dei consiglieri comunali, detto aggettivo servendo in realtà a garantire l’estensione di tale diritto di accesso a qualsiasi atto ravvisato utile per l’esercizio del mandato” (così, tra le tante, Consiglio di Stato, sez. V, 17 settembre 2010, n. 6963).