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Può l’ente socio ripianare perdite pregresse della partecipata in liquidazione riconoscendo debiti fuori bilancio?

Interessante pronuncia della Corte dei conti – Sezione regionale di controllo per le Marche che, nel trattare una casistica peculiare sottopostale da un ente locale, offre diversi spunti utili per affrontare situazioni di criticità diffuse nell’ambito del rapporto di governance tra enti e partecipate.

Nella deliberazione n. 45/2024/PAR, la Corte dei conti Marche formula il proprio orientamento in merito al seguente caso:

  • nel 1999 la provincia formulante il quesito, specifica di aver costituito una società, inizialmente a capitale misto, funzionale all’attuazione di patti territoriali, poi trasformata, nel 2012, in società uninominale interamente partecipata dalla provincia stessa.
  • nel 2015 la società è stata poi posta in liquidazione in attuazione delle disposizioni normative seguite al c.d. “Piano Cottarelli”, che imposero il primo piano di razionalizzazione.
  • rispetto all’evoluzione sopra sintetizzata, la provincia ha specificato come la Società si trovi ancora a tutt’oggi in stato di liquidazione ed abbia però di fatto continuato a svolgere le attività proprie del soggetto responsabile del Patto Territoriale, da circa 9 anni.
  • nella situazione così determinatasi, la provincia chiede se sia possibile e legittimo riconoscere un debito fuori bilancio in favore della società per i servizi dalla stessa resi all’ente, relativi allo svolgimento della funzione di soggetto responsabile del Patto Territoriale in assenza del previsto contratto di servizio.

 

La Sezione regionale della Corte dei conti, ricordando che l’Ente richiedente non può mirare ad ottenere l’avallo, preventivo o successivo che sia, della magistratura contabile in riferimento alla definizione di specifici atti gestionali, fornisce un riscontro molto articolato e ricco di richiami e riferimenti giurisprudenziali.

L’orientamento dei magistrati contabili si suddivide su due piani:

  1. Il primo fa riferimento alle disposizioni inerenti al divieto di soccorso finanziario delle società a partecipazione pubblica poste in liquidazione e che versino in situazione di crisi;
  2. Il secondo riguarda la riconoscibilità come debiti fuori bilancio delle risorse da erogare alla partecipata per l’attività svolta, in assenza di contratto di servizio, nei nove anni decorrenti dalla messa in liquidazione

 

Con riferimento alle regole inerenti al divieto di soccorso finanziario, la Corte dei conti ricorda in primo luogo, la regola generale per cui è vietato alle amministrazioni pubbliche di effettuare trasferimenti straordinari a favore delle società partecipate che abbiano registrato per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio, salvo che non ricorrano le speciali condizioni indicate nel secondo periodo del c. 5 dell’art. 14 del D. Lgs. 175/2016, che presuppongono l’esistenza di un piano di risanamento della società. Tale divieto di soccorso finanziario opera anche per le società poste in liquidazione le quali, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza contabile, proprio perché rimangono in vita senza la possibilità di intraprendere nuove operazioni rientranti nell’oggetto sociale, ma al solo fine di risolvere i rapporti finanziari e patrimoniali pendenti, non possono, per definizione, prospettare alcuna possibilità di recupero o risanamento.

Rispetto ad un quadro normativo particolarmente rigido e rigoroso in ambito di soccorso finanziario nei confronti di una società in liquidazione, la Corte dei conti richiama alcune specifiche pronunce pregresse; proprio su tale tema ricorda come la deliberazione n. 66/2018/PAR della Corte dei conti Lazio, abbia evidenziato quanto segue: “L’ammissibilità di siffatta evenienza, anche a prescindere dalla aprioristica esclusione in astratto, quale ben potrebbe scaturire da una lettura rigorosa dei requisiti degli interventi in deroga ivi contemplati, appare affidata unicamente alla sussistenza in concreto di un fondamento motivazionale particolarmente solido ed idoneo a dimostrare in modo obiettivo la necessità dell’operazione per il miglior conseguimento di interessi pubblici alternativi rispetto a quelli della continuità aziendale, nonché la relativa convenienza economica rispetto alla fruizione del beneficio della responsabilità patrimoniale limitata. Si tratta di una dimostrazione che, pur non impossibile, è stata riconosciuta come valida in sede di controllo, ai fini di garantire la legittimità dei disposti finanziamenti di sostegno, in casi del tutto specifici richiamati in molti dei precedenti citati (ad esempio, se trattasi di finanziamenti finalizzati al necessario recupero al patrimonio comunale di beni societari indispensabili per la prosecuzione dell’erogazione di servizi pubblici fondamentali, o nel caso di pregresso rilascio di garanzia dell’Ente per l’adempimento delle obbligazioni della società).

Vi è poi un richiamo alla sentenza n. 110/2023 della Corte costituzionale in cui si è affermato che “secondo il costante orientamento delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, il divieto di cui all’art. 14, comma 5, TUSP vale a maggior ragione rispetto a società poste in liquidazione… essendo in tal caso di per sé esclusa qualsiasi prospettiva di recupero dell’economicità e dell’efficienza della gestione (Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Campania, deliberazione 9 maggio 2022, n. 24/2022/PAR), a meno che l’ente pubblico sia in grado di dimostrare la sussistenza di un prevalente interesse pubblico tale da giustificare l’operazione”.

A conclusione del primo punto (trasferimento di risorse finanziarie a società in liquidazione che versino in stato di crisi), i magistrati della Corte dei conti Marche evidenziano come sia onere dell’ente locale, al di fuori delle fattispecie tipizzate dal Legislatore per cui sussiste il divieto assoluto del c.d. soccorso finanziario (art. 14, comma 5, del TUSP), giustificare la sussistenza di un’utilità che possa ascriversi ad un interesse pubblico specifico e concreto. Affinché la questione rientri nelle ristrette ipotesi di trasferimento per ragioni di straordinarietà, occorre considerare sia il periodo di tempo in cui il servizio si è protratto, sia la motivazione analitica congruamente espressa, che giustifichi il trasferimento economico alla società in liquidazione. Occorre, in particolare, la dimostrazione in modo obiettivo del fatto che tale attività svolta (negli anni) sia il miglior conseguimento di interessi pubblici alternativi rispetto a quelli della continuità aziendale, nonché la relativa convenienza economica rispetto alla fruizione del beneficio della responsabilità patrimoniale limitata. Onere cui l’amministrazione è tenuta ad ottemperare in termini rigorosi e puntuali.

 

Con riferimento al secondo punto, riguardante la riconoscibilità come debiti fuori bilancio delle risorse da erogare alla partecipata per l’attività svolta, in assenza di contratto di servizio, nei nove anni decorrenti dalla messa in liquidazione, i magistrati ricordano come il debito fuori bilancio rappresenti un’obbligazione verso terzi per il pagamento di una somma di denaro, assunta in violazione delle norme giuscontabili che regolano il procedimento finanziario di assunzione degli impegni di spesa da parte degli enti locali e che l’art. 194 TUEL contempli una serie di ipotesi tassative e non interpretabili estensivamente. Il caso rappresentato dalla Provincia (possibile riconoscimento come debito fuori bilancio di un trasferimento compensativo di una serie di prestazioni reiterate per anni dalla partecipata in liquidazione in assenza di contratto di servizio), risulterebbe eventualmente riconducibile alla fattispecie e) del c.1 dell’art. 194 del D. Lgs. 267/2000, il quale ammette tale riconoscimento nel caso di “acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 191, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l’ente, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza”. Rispetto a tale fattispecie, nel parere in commento viene dapprima richiamata una precedente deliberazione della Corte dei conti Lombardia (deliberazione n. 106/2017/PRNO), secondo cui: “Se l’ente decidesse -nella propria discrezionalità politica- di accollarsi i debiti della società partecipata in liquidazione, lo stesso dovrebbe evidenziare, attraverso congrua motivazione, la sussistenza di un interesse pubblico concreto giustificativo dell’operazione da intraprendere, valutandone attentamente la sostenibilità finanziaria. Tale scelta, infatti, finirebbe inevitabilmente per costituire una rinuncia implicita al limite legale della responsabilità patrimoniale della società di cui all’art. 2325 cc”.

Nel caso oggetto di analisi, i magistrati contabili evidenziano tuttavia come le reiterate prestazioni rese negli anni dalla partecipata (pur essendo in liquidazione e priva di contratto di servizio), non bastino, da sole, a dimostrare, utilità ed arricchimento per l’ente e quindi ad essere riconosciute quale presupposto di un debito fuori bilancio ma presuppongano, per poter procedere in tal senso una previa valutazione, specifica e concreta, da parte del Consiglio dell’Ente, con possibili ricadute anche nella materia della responsabilità personale dei contraenti.

 

Nel suo complesso, la deliberazione n. 45/2024/PAR rappresenta un importante contributo al tema della gestione della governance e della razionalizzazione delle società partecipate in quanto, pur a fronte di una situazione decisamente compromessa in termini di prospettive, non si ferma a delineare i limiti normativi dell’azione amministrativa ma, richiamando l’esclusiva responsabilità ed autonomia dell’ente locale sulle proprie scelte, non esclude l’ammissibilità di operazioni di sostegno finanziario straordinarie, laddove sostenute da motivazioni specifiche, concrete, stringenti e puntuali e da cui emerga che la soluzione adottata conduce al miglior risultato possibile per la collettività amministrata.