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Progressioni verticali: le indicazioni della Corte dei Conti

Rispondendo con due distinti pareri (si vedano le deliberazioni n. 34/2021/PAR e n. 35/2021/PAR) ad una serie di quesiti concernenti la corretta interpretazione della disciplina delle progressioni verticali recata dall’art. 22, comma 15, del D.Lgs. n. 75/2017 (come modificato dall’art. 1, comma 1-ter, D.L. n. 162/2019, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 8/2020), la Sezione regionale di controllo della Corte dei conti della Toscana ha affermato che:

1) per quanto riguarda il tetto del 30%, lo stesso va considerato come limite massimo e invalicabile non suscettibile di arrotondamenti. La base di calcolo da prendere in considerazione per definire tale percentuale è quella delle assunzioni programmate, categoria per categoria o area per area, nel triennio 2020-2022 nell’ambito del PTFP. Tale soluzione appare obbligata considerando il carattere eccezionale e derogatorio della norma in esame rispetto alla procedura ordinaria prevista dall’art. 52 del D.lgs. 165/2001.
Il Collegio ricorda, infatti, come la norma in esame faccia esplicito riferimento al “numero” di assunzioni e, pertanto, non “lascia alcun dubbio in merito alla computabilità numerica dei dipendenti da considerare ai fini delle progressioni verticali, indipendentemente dall’entità (percentuale) della spesa sulla quale tali “nuove assunzioni” possono incidere” (SRC Puglia, deliberazione n.42/2018/PAR);

2) il limite del 30% deve intendersi riferito al solo numero di posti previsti per i concorsi di pari categoria, e non al numero assoluto dei posti previsti per qualsiasi categoria o area, condividendo l’ampia giurisprudenza contabile formatasi sul punto e dalla quale questa Sezione non intende discostarsi (Sez. reg. contr. Campania, n. 103/2019/PAR, Sez. reg. contr. Puglia, n. 71/2019/PAR, Sez. reg. contr. Basilicata n. 38/2020/PAR).
Invero, la lettera della norma stabilisce che il numero di posti per tali procedure selettive riservate non può superare il 30 per cento di quelli previsti nei piani dei fabbisogni come nuove assunzioni consentite per la relativa area o categoria; pertanto, la percentuale non può che riguardare il numero di posti previsti per i concorsi di pari categoria e non, invece, il numero complessivo di posti previsti dal piano del fabbisogno triennale indipendentemente dalla categoria o area per cui il concorso è bandito.
Il Collegio ritiene che l’interpretazione adottata non possa essere vulnerata dalla circostanza, rappresentata dal Comune, che in tal modo la norma in esame troverebbe applicazione solo per le progressioni verticali bandite dagli Enti di grandi dimensioni, il cui fabbisogno di personale è ampio e capace di assorbire lo scomputo percentuale relativo alle procedure selettive interne.
Come osservato dalla Sezione di controllo Campania “le progressioni verticali de quibus rappresentano una scelta derogatrice rispetto al generale principio del concorso pubblico con accesso dall’esterno, basata su di un criterio numerico improntato alla più oggettiva proporzionalità, in quanto tale applicabile da parte di qualsiasi Ente, appunto in proporzione alle dimensioni del medesimo. Del resto, eventuali possibili divergenze applicative della norma non ne minano certo il carattere della “generalità in quanto dovute a mere situazioni di fatto, legate alle oggettive diverse dimensioni degli Enti in comparazione, che rendono del tutto razionale il diverso trattamento, secondo i noti canoni di giustificatezza e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost”.
Il Collegio, peraltro, osserva che la questione in esame è già stata posta all’esame delle Sezioni di controllo, e del dibattito dottrinale, sotto la vigenza della norma nella versione originaria, che riguardava la regolamentazione delle progressioni verticali nel triennio 2018-2020. La circostanza che il legislatore sia intervenuto sulla norma in esame prorogando il periodo di applicazione della disciplina derogatoria al triennio 2020-2022 senza modificare la parte relativa alla disciplina delle progressioni (riferita alle categorie e aree) rafforza l’idea che sia stata, come sopra osservato, una scelta consapevole “agganciata” alle dimensioni degli Enti interessati dalla norma in esame;

3) la disciplina de qua, come già osservato, individua la percentuale dei posti da coprire mediante procedure selettive per la progressione tra le aree riservate al personale di ruolo, con riferimento ai posti destinati alle assunzioni previsti nei piani triennali dei fabbisogni (2018/2020 prima e 2020/2022 attualmente) senza ulteriori specificazioni. Pertanto, la riserva del 30% si può applicare su tutti i posti che l’ente, in base al Piano Triennale del fabbisogno, può assumere nel triennio. Se i posti sono dieci, l’ente potrà coprire mediante progressione verticale tre di questi posti, essendo indifferente se i restanti sette posti vengano coperti con procedura di mobilità di cui all’art. 30, comma 2-bis, del d.lgs. 165/2001 (propedeutica all’indizione del concorso pubblico). Tale conclusione è valida a condizione di ritenere l’acquisizione di personale mediante mobilità una vera e propria nuova assunzione. Ed in tal senso è il convincimento di questa Sezione, in quanto il personale trasferito entra nei ruoli della nuova Amministrazione che sostiene il relativo costo del lavoro e la cui spesa incide sui limiti assunzionali dell’Ente.
A sostegno indiretto della soluzione interpretativa proposta, il Collegio ricorda come la normativa che individua i limiti alla facoltà assunzionali degli enti locali sia recentemente cambiata relativamente alle assunzioni a tempo indeterminato. Il nuovo sistema di computo degli spazi per le assunzioni (abbandonando il sistema impostato su tetti al turnover) non ha infatti più bisogno di ricorrere al concetto di “mobilità neutrale”, ed alla necessità di coprire le mobilità in uscita con mobilità in entrata.
Il decreto crescita consente ora alle amministrazioni di effettuare tutte le assunzioni a tempo indeterminato entro il volume di spesa di personale attivabile in base al rapporto che essa avrà con la media delle entrate correnti dell’ultimo triennio, al netto del fondo crediti di dubbia esigibilità.
Pertanto, tutti i dipendenti in qualsiasi modo assunti (per concorso pubblico, per mobilità, per scorrimento di graduatoria) contribuiscono, con la loro spesa imputata al bilancio dell’ente, a determinare il volume della spesa del personale rilevante al fine di determinare i limiti assunzionali in rapporto con le entrate correnti.
Ne consegue che anche il dipendente trasferito per mobilità erode la spesa di personale ammissibile e non rappresenta più un modo necessariamente virtuoso di gestire la spesa di personale.
Dalla parte dell’ente cedente, la mobilità rappresenterà un risparmio di spesa e consentirà di ridurre il rapporto spesa di personale/entrate correnti, “autorizzando” l’ente a sostituire il dipendente trasferito per mobilità anche mediante assunzioni con concorso pubblico, qualora vi siano spazi assunzionali in base alle nuove modalità di computo.