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Non cumulabili i resti assunzionali con le nuove facoltà assunzionali concesse dal decreto del 17 marzo 2020

Con la recente nota n. 12454/2021, la Ragioneria generale dello Stato ha fornito precise indicazioni in merito alla possibilità da parte dei Comuni di utilizzare, anche nel nuovo sistema di disciplina delle assunzioni a tempo indeterminato basato sulla sostenibilità finanziaria delle stesse, ed introdotto dall’art. 33, comma 2, del decreto legge n. 34/2019, i resti delle facoltà assunzionali residue dei cinque anni precedenti al 2020.

La questione riguarda in particolare l’interpretazione dell’articolo 5, comma 2, del decreto attuativo 17 marzo 2020, che prevede che per il periodo 2020-2024 i comuni che si collocano al di sotto dei valori soglia inferiore del citato DPCM possono utilizzare le facoltà assunzionali residue dei cinque anni antecedenti al 2020, in deroga agli incrementi percentuali stabiliti dalla tabella 1 del predetto articolo.

Segnatamente, è stato chiesto al Ministero se sia possibile cumulare, in aggiunta alle percentuali di incremento annuale della spesa di personale registrata nell’anno 2018 stabilite dall’articolo 5, comma 1, tabella 2, del medesimo decreto, anche i predetti resti assunzionali.

In proposito il Dipartimento, in modo abbastanza sorprendente, ha affermato che la possibilità di utilizzo delle facoltà assunzionali residue dei cinque anni antecedenti al 2020 prevista dall’articolo 5, comma 2, del decreto attuativo, in deroga agli incrementi percentuali individuati dalla Tabella 2, del comma 1, dello stesso articolo, non può essere intesa come una sommatoria delle due distinte predette tipologie di incremento della spesa di personale.

Infatti, tale previsione va ricondotta nell’ambito di una deroga alla specifica misura finalizzata a rendere, in ogni caso, graduale la dinamica della crescita della spesa di personale dei comuni che si collocano al di sotto del valore soglia inferiore (arco temporale 2020-2024), consentendo a tali enti la facoltà di superare gli incrementi percentuali annuali individuati dalla Tabella 2, del comma 1, qualora i resti assunzionali consentano un maggiore e più favorevole reclutamento di personale rispetto a quello previsto dalla nuova disciplina normativa.

Pertanto, ad avviso della RGS, ne consegue che l’utilizzo dei più favorevoli resti assunzionali dei cinque anni antecedenti al 2020 non può essere cumulato con le assunzioni derivanti dall’applicazione delle nuove disposizioni normative ex articolo 33, comma 2, del decreto legislativo n. 34/2019, ma tale possibilità di utilizzo costituisce una scelta alternativa – se più favorevole – alla nuova regolamentazione, fermo restando che tale opzione è consentita, in ogni caso, solamente entro i limiti massini previsti dal valore soglia di riferimento di cui all’articolo 4, comma 1 – Tabella 1, del decreto attuativo.

Giova segnalare, precisa ancora il parere, che, come anche evidenziato dagli orientamenti della Corte dei conti, la nuova normativa introdotta dall’articolo 33, comma 2, del decreto legge n. 34/2019, che ha ricevuto attuazione con il decreto del 17 marzo 2020, segna una modifica ed un cambiamento significativo della disciplina relativa alle facoltà assunzionali dei comuni; con ciò tracciando una chiara linea di demarcazione tra i pregressi criteri basati sul turn over e le nuove regole vincolate alla sostenibilità finanziaria della spesa di personale per nuove assunzioni e, in tale ottica, la deroga in esame finalizzata al recupero dei resti assunzionali dei cinque anni antecedenti al 2020 maturati in regime di turn over non può che trovare applicazione unicamente in alternativa alle nuove facoltà assunzionali, come innovativamente delineate ed introdotte dal legislatore nell’ordinamento.

Per cui, secondo la RGS, una diversa interpretazione ed applicazione della deroga contenuta all’articolo 5, comma 2, che dovesse prevedere la cumulabilità, oltre a non avere alcuna ratio e senso economico, costituirebbe una pura somma algebrica di facoltà assunzionali normativamente definite con parametri e criteri completamente differenti tra loro e quindi, non omogenee in quanto frutto di condizioni non comparabili e assimilabili e determinerebbe un effetto distorsivo della volontà del legislatore che ha inteso consentire, per i comuni che si collocano al di sotto del valore soglia inferiore, solo una condizione di maggior favore fra l’utilizzo dei resti assunzionali e la nuova regola di gradualità.

Il presente parere fornisce poi anche utili chiarimenti in ordine agli effetti delle nuove assunzioni di personale effettuate dai Comuni in relazione alla determinazione dei fondi per il trattamento accessorio, con particolare riguardo al limite finanziario introdotto dall’art. 23, comma 2, del decreto legislativo n. 75/2017, il quale va adeguato in aumento o in diminuzione al fine di garantire l’invarianza dell’importo medio pro-capite riferito all’anno 2018.