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Negli affidamenti in house occorre tenere conto anche dei costi di capitale

Da recenti indicazioni dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato sta emergendo un’importante enfasi sull’impatto dei costi di capitale nella valutazione di convenienza degli affidamenti in house providing. Negli atti di segnalazione n. AS1897/2023, AS1898/2023 e AS1899/2023 (riscontrabili nell’ultimo Bollettino n. 28/2023 dell’AGCM), tutti riferiti ad operazioni di acquisto di partecipazioni, da parte di enti d’ambito, in una società a capitale pubblico con l’obiettivo di procedere al conseguente affidamento in house del servizio di igiene ambientale, l’Antitrust si sofferma sulle motivazioni a sostegno di tale scelta.
Rispetto alle condizioni economico finanziarie da pattuire nel contratto di servizio, l’AGCM evidenzia come l’equilibrio delle prestazioni corrispettive debba considerare tutti i costi, compresi quelli del capitale. Tale principio deve essere valido a prescindere dalla forma di affidamento e quindi deve essere considerato anche in caso di affidamenti in house providing. Per questi ultimi è infatti spesso addotta come motivazione di convenienza, quella dell’assenza dell’obbligo di dover garantire una certa marginalità economica per remunerare gli investitori.

Di seguito riportiamo stralcio del passaggio in cui, nell’atto di segnalazione n. AS1897/2023, l’AGCM affronta il tema: “In aggiunta … si vuole sottolineare l’incongruità del giudizio inerente ai costi del servizio, inserito tra i punti di forza dell’in house, in base al presupposto che questa modalità di gestione assicuri “costi del servizio più bassi per la mancanza di utili di impresa”.
Tale argomentazione a sostegno della scelta dell’in house risulta fallace sotto molteplici profili.
Innanzitutto, la necessità di garantire l’equilibrio economico-finanziario del contratto di servizio pubblico richiede la copertura di tutti i costi, inclusi quelli di capitale. Tale principio è valido a prescindere dalla modalità di affidamento. La mancata copertura dei costi di capitale sarebbe, infatti, non priva di conseguenze, anche a carico della collettività. A titolo di esempio, si consideri che, senza prevedere alcuna remunerazione per i capitali utilizzati, l’impresa sarebbe impossibilitata a rivolgersi al mercato dei capitali per reperire finanziamenti utili a realizzare gli investimenti, restando interamente dipendente da risorse pubbliche a fondo perduto.
In secondo luogo, ancorché la scelta di non remunerare il capitale può essere legittimamente assunta dall’ente affidante (le tariffe stabilite dall’Autorità di settore, ARERA, prevedono l’inclusione di tale elemento di costo, ma costituiscono delle soglie massime che non impediscono di fissare livelli inferiori, rinunciandovi espressamente), non sembrerebbe che tale scelta costituisca un vantaggio intrinseco dell’in house, quanto più una determinazione escludente e discriminatoria rispetto alla possibilità di ricorrere a modalità di affidamento diverse, posto che eventuali operatori privati non potrebbero permettersi di non remunerare il capitale.

L’ambito di valutazione su cui si sono incentrate le osservazioni dell’Antitrust è particolarmente importante, soprattutto se si considera che il contesto normativo relativo ai rapporti con le società partecipate ed agli affidamenti di servizi pubblici locali, richiede in modo sempre più esteso e periodico, di effettuare valutazioni di sostenibilità e convenienza dei modelli gestionali prescelti per soddisfare i bisogni della collettività amministrata. Il tema della remunerazione dei costi di capitale è sicuramente centrale, soprattutto per assicurare, oltre ad un’adeguata offerta di servizi, anche un parallelo sviluppo delle infrastrutture e delle dotazioni patrimoniali necessarie per erogarli. Su quali debbano essere i costi di capitale da remunerare, si apre tuttavia un’ampia riflessione nel percorso di scelta del soggetto affidatario: nell’in house providing, ci si può limitare ai costi dei capitali di terzi (indebitamento) od occorre comunque considerare (ed in che misura) anche la remunerazione dei capitali dei soci pubblici? Da quanto emerge nello stralcio di atto sopra riportato, sembrerebbe comunque possibile scegliere di non remunerare il capitale (dei soci pubblici, si presume).