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Ferie non godute sempre monetizzabili a fine carriera se il datore di lavoro non prova di aver invitato il lavoratore a goderne

Con la recente ordinanza n. 17643 del 20 giugno 2023, la Sezione Lavoro della Cassazione ha affermato il seguente principio di diritto: «La prescrizione del diritto del lavoratore all’indennità sostitutiva delle ferie e dei riposi settimanali non goduti decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro, salvo che il datore di lavoro non dimostri che il diritto alle ferie ed ai riposi settimanali è stato perso dal medesimo lavoratore perché egli non ne ha goduto nonostante l’invito ad usufruirne; siffatto invito deve essere formulato in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie ed i riposi siano ancora idonei ad apportare all’interessato il riposo ed il relax cui sono finalizzati, e deve contenere l’avviso che, in ipotesi di mancato godimento, tali ferie e riposi andranno persi al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato».

La Cassazione ha infatti ricordato che la Corte di giustizia UE ha già chiarito in passato che l’art. 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 non osta, in linea di principio, a una normativa nazionale recante modalità di esercizio del diritto alle ferie annuali retribuite espressamente accordato da detta direttiva, che comprenda anche la perdita del diritto in questione allo scadere del periodo di riferimento o di un periodo di riporto, purché, però, il lavoratore che ha perso il diritto alle ferie annuali retribuite abbia effettivamente avuto la possibilità di esercitare questo diritto che tale direttiva gli conferisce (sentenza del 20 gennaio 2009, S. e a., C-350/06 e C-520/06, EU:C:2009:18, punto 43).

Peraltro, ha affermato che è necessario assicurarsi che l’applicazione di simili norme nazionali non possa comportare l’estinzione dei diritti alle ferie annuali retribuite maturati dal lavoratore, laddove quest’ultimo non abbia effettivamente avuto la possibilità di esercitare tali diritti.

Il lavoratore deve essere considerato, infatti, la parte debole nel rapporto di lavoro, sicché è necessario impedire al datore di lavoro di disporre della facoltà di imporgli una restrizione dei suoi diritti. Tenuto conto di tale situazione di debolezza, un simile lavoratore può essere dissuaso dal fare valere espressamente i suoi diritti nei confronti del suo datore di lavoro, dal momento, in particolare, che la loro rivendicazione potrebbe esporlo a misure adottate da quest’ultimo in grado di incidere sul rapporto di lavoro in danno di detto lavoratore (sentenza del 25 novembre 2010, F., C-429/09, EU:C:2010:717, punti 80 e 81, e giurisprudenza ivi citata).

Ne deriva che il datore di lavoro è tenuto, in considerazione del carattere imperativo del diritto alle ferie annuali retribuite e al fine di assicurare l’effetto utile dell’art. 7 della direttiva 2003/88, ad assicurarsi concretamente e in piena trasparenza che il lavoratore sia effettivamente in grado di fruire delle ferie annuali retribuite, invitandolo, se necessario formalmente, a farlo, e nel contempo informandolo – in modo accurato e in tempo utile a garantire che tali ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo e il relax cui esse sono volte a contribuire – del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato.

Inoltre, l’onere della prova, in proposito, incombe al datore di lavoro e, ove quest’ultimo non sia in grado di dimostrare di avere esercitato tutta la diligenza necessaria affinché il lavoratore sia effettivamente in condizione di fruire delle ferie annuali retribuite alle quali aveva diritto, si deve ritenere che l’estinzione del diritto a tali ferie alla fine del periodo di riferimento o di riporto autorizzato e, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, il correlato mancato versamento di un’indennità finanziaria per le ferie annuali non godute violino, rispettivamente, l’art. 7, paragrafo 1, e l’art. 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88 (sentenza Grande Camera, 6 novembre 2018, causa C-684/16, M.; per analogia, le sentenze emesse sempre dalla grande sezione il 6 novembre 2018, cause riunite C-569 e C-570/2016, S., e causa C-619/2016, S.W.K.; sentenza del 16 marzo 2006, R.S. e a., C-131/04 e C-257/04, EU:C:2006:177, punto 68; sul punto, per il diritto interno, soprattutto in motivazione, Cass., Sez. L, n. 21780 dell’8 luglio 2022, per la quale la perdita del diritto alle ferie, ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro, può verificarsi soltanto qualora il datore di lavoro offra la prova di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie – se necessario formalmente – e di averlo nel contempo avvisato – in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire – che, in caso di mancata fruizione, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato).

I Giudici hanno poi altresì ricordato l’esistenza di una risalente giurisprudenza di legittimità per la quale, sulla base della natura anche risarcitoria dell’indennità de qua, la prescrizione del diritto in questione opera pure in costanza di rapporto (Cass., Sez. L, n. 10341 dell’11 maggio 2011).

A tale proposito, occorre ricordare, però, che, secondo costante giurisprudenza eurounitaria, nell’applicare il diritto interno, i giudici nazionali sono tenuti a interpretarlo per quanto possibile alla luce del testo e dello scopo del diritto unionale vigente, così da conseguire il risultato perseguito da quest’ultimo e conformarsi pertanto all’art. 288, comma 3, TFUE (sentenza del 24 gennaio 2012, D., C-282/10, EU:C:2012:33, punto 24 e giurisprudenza ivi citata).

Il principio di interpretazione conforme esige che i giudici nazionali si adoperino al meglio nei limiti del loro potere, prendendo in considerazione il diritto interno nel suo insieme e applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest’ultimo, al fine di garantire la piena efficacia della direttiva di cui trattasi e di pervenire a una soluzione conforme allo scopo perseguito da quest’ultima (sentenza del 24 gennaio 2012, D., C-282/10, EU:C:2012:33, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).

Come altresì dichiarato dalla Corte di giustizia UE, l’esigenza di un’interpretazione conforme siffatta include, in particolare, l’obbligo, per i giudici nazionali, di modificare, se del caso, una giurisprudenza consolidata se questa si basa su un’interpretazione del diritto nazionale incompatibile con gli scopi di una direttiva. Pertanto, un giudice nazionale non può ritenere di trovarsi nell’impossibilità di interpretare una disposizione nazionale conformemente al diritto dell’Unione per il solo fatto che detta disposizione è stata costantemente interpretata in un senso che è incompatibile con tale diritto (sentenza del 17 aprile 2018, E., C-414/16, EU:C:2018:257, punti 72 e 73 e giurisprudenza ivi citata).

Si deve conseguentemente ritenere che la prescrizione del diritto del lavoratore all’indennità sostitutiva delle ferie non godute decorra soltanto dalla data di cessazione del rapporto di lavoro.
 

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