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Dirigenti a contratto: responsabilità degli amministratori locali in caso di illegittimo affidamento dell’incarico

Rispondono di danno erariale gli amministratori locali che abbiano conferito un incarico dirigenziale ad un professionista esterno all’Amministrazione comunale senza aver proceduto ad una preventiva ricognizione delle competenze interne ed in assenza di una procedura selettiva su basi comparative adeguatamente pubblicizzata.

È quanto emerge dalla lettura della sentenza della II Sezione Centrale d’appello della Corte dei conti n. 55 del 5 marzo 2020.

I Giudici hanno infatti evidenziato che già prima dell’entrata in vigore dell’art. 11 del D.L. n. 90/2014, la giurisprudenza di merito aveva elaborato un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 110 del D.Lgs. n. 267/2000 verso i principi del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione, nel contesto della quale figuravano, quali elementi di legittimità dell’azione amministrativa, l’indizione e l’adeguata pubblicizzazione delle procedure selettive, l’accertamento della professionalità occorrente all’espletamento delle funzioni e la preventiva ricognizione sulla disponibilità, o meno, di professionalità interne eventualmente utilizzabili in luogo di un incaricato esterno (cfr. Corte costituzionale, sentenze 11 gennaio 2010, n. 9 e 13 novembre 2009, n. 293; Consiglio di Stato, 16 gennaio 2012, n. 138; TAR Lazio, 18 giugno 2012, n. 5592; TAR Toscana, 11 novembre 2010, n. 6578).

Il Collegio ha poi in aggiunta ritenuto opportuno osservare, alla luce del disfavore in linea di principio manifestato dalla giurisprudenza costituzionale verso la “dirigenza fiduciaria” della pubblica amministrazione (sentenza n. 161 del 2008, sentenze n. 103 e n. 104 del 2007), che la scelta “intuitu personae” di un responsabile di servizio tra soggetti esterni all’ente, salvo che non appaia sorretta da straordinarie esigenze di interesse pubblico (Corte costituzionale 13 giugno 2013 n. 137; Id. n. 205 del 2006), si deve ritenere incompatibile con l’art. 97 della Costituzione, anche in considerazione della palese inosservanza che essa comporta del principio costituzionale secondo il quale l’accesso ai pubblici impieghi, anche se a tempo determinato (Corte cost. 23 aprile 2013, n. 73; Consiglio di Stato sez. VI 4 novembre 2014, n. 5431), è possibile solo tramite una pubblica selezione.