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Alla società consortile si applicano le disposizioni del Testo unico partecipate

Con la deliberazione n. 27/2020 PAR, la Sezione regionale di controllo della Corte dei conti per il Lazio, nel riscontrare il quesito posto da un gruppo di comuni soci di un consorzio organizzato come società consortile, di cui tuttavia ne evidenziavano lo “scopo non lucrativo ed operatività esclusivamente all’interno del perimetro pubblico e al di fuori del mercato”, ha fermamente ribadito l’assoggettamento dello stesso alle norme del D. Lgs. 175/2016.

I magistrati contabili, al termine di un utile inquadramento pratico delle finalità del TUSP, hanno evidenziato che “non appare ininfluente sottolineare che la società consortile ex art. 2615ter cc non è figura giuridica autonoma e diversa dai tipi societari disciplinati dal codice civile, trattandosi al contrario di fattispecie volta a proprio a consentire alle società commerciali di agire con obiettivi mutualistici e non lucrativi. E ciò, pur investendo direttamente la possibilità di ripartire eventuali utili derivanti da eventuale attività verso terzi ed il rapporto con i soci anche al fine di assicurare l’equilibrio del bilancio sociale con versamenti contributivi annui, non determina né giustifica deroghe pattizie alle regole fondamentali che connotano il modello legale di riferimento (così Cass.Civ. sent. n. 18113/2003, Cass. SS.UU. sent. n. 12190/2016, Cass.Civ. sent. n. 7473/2017), con sottrazione sostanziale dall’ambito delle società. Inoltre, va rammentato che la società consortile ha, per espresso richiamo normativo, le finalità proprie del consorzio di diritto privato di cui all’art. 2602 c.c., in quanto compatibili con gli elementi propri del contratto di società sociale, consistenti nello svolgimento di attività di impresa in comune per conseguire un vantaggio da parte dei soci, diverso dal riparto di utili ma comunque patrimonialmente valutabile.

Orbene, si tratta di principi e regole propri di tali forme di soggettività giuridica di diritto comune che vanno coniugati con lo statuto speciale pubblicistico delle società partecipate da pubbliche amministrazioni, rimanendo ferme per quanto da quest’ultimo non modificato, come puntualizzato con chiarezza dall’art. 1, comma 3, dello stesso TUSP, che non legittima spazi ultronei di autonomia negoziale in capo agli enti pubblici. Le stesse, perciò, ad avviso del Collegio vanno tenute ben presenti quali requisiti intrinseci delle attività che possono validamente confluire nell’oggetto sociale ed essere svolte mediante lo strumento societario, come individuate dall’art. 4, comma 2, del TUSP, non essendo tale scelta consentita in virtù della sola riconduzione, pur necessaria ma non dirimente, dell’attività stessa alle finalità istituzionali.

In tal senso, quindi, rientra nella considerazione dei singoli casi concreti, di spettanza delle amministrazioni interessate, stabilire se l’attività da svolgere sia compatibile con il modello societario, anche in alternativa a organizzazioni di stampo pubblicistico reputate meno convenienti, ovvero se si annoveri nell’attività funzionale in senso stretto per la quale esistono specifiche forme pubbliche di gestione associata (come unioni di comuni e convenzioni).”