Contrariamente a quanto sostenuto dalla Ragioneria Generale dello Stato nella nota prot. n. 175706 del 27.06.2025, la Sezione regionale di controllo della Corte dei conti della Lombardia non ritiene possibile estendere in via indiretta alle unioni di comuni l’applicazione dell’articolo 14, comma 1-bis, del decreto-legge n. 25/2025, in considerazione del fatto che tale disciplina trova applicazione solo nei confronti dei comuni.
Per i giudici contabili trattasi, pertanto, di lacuna legis colmabile dal solo legislatore al quale compete la scelta delle modalità attraverso le quali procedere alla armonizzazione del trattamento economico del personale delle unioni di comuni, anche al fine di evitare situazioni di ingiustificata disparità di trattamento.
Con la recente deliberazione n. 280/2025/PAR, la Sezione regionale lombarda ha infatti evidenziato che nel caso concreto si è di fronte ad una vera e propria lacuna legis non colmabile, a suo parere, in via interpretativa.
La Sezione, dunque, pur prendendo atto del meritorio intento del legislatore di armonizzare i trattamenti economici dei dipendenti pubblici, ritiene che le modalità attraverso le quali raggiungere questo obiettivo rientrino, a pieno titolo, nelle prerogative che competono al legislatore medesimo. E che le modalità possano essere anche diverse deriva, per tabulas, dal fatto che, fino ad ora, la regolamentazione della spesa del personale e dei relativi limiti delle unioni di comuni risulta essere stata diversa da quella prevista per i comuni.
A tutto ciò, prosegue la delibera, deve essere aggiunto il fatto che l’articolo 21, comma 3, del decreto-legge n. 202/2024 “Disposizioni urgenti in materia di termini normativi”, convertito con modificazioni dalla legge n. 15/2025, intervenendo sull’articolo 14 del decreto-legge n. 78/2010, ha abrogato i commi 31-ter e 31-quater, i quali stabilivano i termini entro i quali i piccoli comuni avrebbero dovuto adempiere all’obbligo previsto dal comma 28 del medesimo articolo 14 di organizzare in forma associata l’esercizio delle funzioni fondamentali individuate dal precedente comma 27.
L’abrogazione di tali commi – come evidenziato nella relazione di accompagnamento del disegno di legge di conversione – viene disposta in ragione di quanto previsto dalla sentenza n. 33 del 2019 della Corte costituzionale (che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 28 del predetto articolo 14 “nella parte in cui non prevede la possibilità, in un contesto di Comuni obbligati e non, di dimostrare, al fine di ottenere l’esonero dall’obbligo, che a causa della particolare collocazione geografica e dei caratteri demografici e socio ambientali, del Comune obbligato, non sono realizzabili, con le forme associative imposte, economie di scala e/o miglioramenti, in termini di efficacia ed efficienza, nell’erogazione dei beni pubblici alle popolazioni di riferimento”) ed in considerazione del fatto che, in conseguenza di ciò, verrebbe superata l’obbligatorietà – fermo rimanendo, pur tuttavia, che al comma 28 permarrebbe l’avverbio “obbligatoriamente” – dell’esercizio associato delle funzioni fondamentali che costituirebbe uno dei punti qualificanti della futura revisione del Testo unico degli enti locali.
Orbene, caduto l’obbligo dell’esercizio associato delle funzioni da parte di comuni con popolazione inferiore ai 5000 abitanti, ovvero 3000 se appartenenti ad una comunità montana, le unioni verrebbero costituite solo su base volontaria, così come previsto dall’articolo 32 TUEL, venendo meno ogni possibile distinzione, anche sotto il profilo del computo della spesa del personale, tra unioni di cui all’articolo 14, comma 28, del decreto-legge n. 78/2010 ed unioni di cui all’articolo 32 TUEL, anche se, ammette la Sezione, è pur vero che le disposizioni legislative residue dell’articolo 14, compreso il comma 31-quinquies, il quale detta le regole per il computo delle spese del personale prevedendone il cumulo, potrebbero continuare a convivere con l’articolo 32 TUEL, sia per le unioni già costituite alla data di entrata in vigore dell’articolo 14, comma 1-bis, del decreto-legge n. 25/2025, sia per quelle costituite volontariamente da comuni aventi una popolazione compresa in quella prevista dal comma 28 del sopra citato articolo 14.
La Sezione, alla luce, pertanto, delle suesposte argomentazioni, ritiene non sia possibile, neppure ricorrendo all’analogia iuris, risolvere positivamente il quesito formulato dall’Ente istante, posto che si troverebbe nella necessità di dover “creare” la regola che dovrà risolvere il quesito effettuando direttamente il bilanciamento degli interessi in gioco e così facendo andando ad incidere sulle regole che regolano la separazioni dei poteri; d’altro canto, seguendo gli insegnamenti della migliore dottrina, né il diritto vivente può essere prodotto dal legislatore, né il diritto vigente può essere prodotto dai giudici.
Pertanto, occorre, in via definitiva, precisare e prendere atto che il risultato dell’applicazione letterale delle disposizioni vigenti crea situazioni paradossali ed ingiustificate, posto che, in assenza di una disposizione espressa che disciplini l’armonizzazione delle retribuzioni anche per i dipendenti delle unioni di comuni, il trattamento economico dei dipendenti dei comuni associati potrà beneficiare di quanto previsto dall’articolo 14, comma 1-bis, del decreto-legge n. 25/2025, mentre ciò non sarebbe possibile per i dipendenti dell’unione (tanto più nel caso in esame in cui all’unione sono stati ceduti tutti i dipendenti dei comuni associati), fermo restando che, ad ogni buon conto, rimane ferma la norma di contenimento dei costi del personale, essendo previsto che, in sede di costituzione dell’unione, la spesa del personale non possa superare la somma delle spese di personale sostenute precedentemente dai singoli comuni partecipanti e che a regime, attraverso specifiche misure di razionalizzazione organizzativa e una rigorosa programmazione dei fabbisogni, devono essere assicurati progressivi risparmi di spesa in materia di personale – art. 32, comma 5, del TUEL.